Nel suo romanzo “Il mondo nuovo”, immaginava lo Stato totalitario del futuro
Una certa qual meraviglia mista ad inquietudine, ad essere sincero, mi pervade dopo la lettura de “Il mondo nuovo” di Aldous Huxley, romanzo avveniristico, scritto nel 1931, davvero singolare per struttura narrativa e argomenti trattati. Un romanzo unico nel suo genere, che tratta tematiche che oggi definiremmo “bioetiche” (controllo delle nascite, contraccezione, procreazione artificiale, clonazione e tanto altro), in un tempo in cui la bioetica come concetto e come disciplina era qualcosa di inimmaginabile (il termine bioetica, infatti, verrà coniato nel 1970 dal cancerologo statunitense Potter e la bioetica come disciplina muoverà i primi passi solo a partire dalla fine degli anni ’70). Un romanzo che per capacità profetica non ha invero concorrenti nella storia della letteratura e di fronte al quale lo stesso “1984” di George Orwell sembra impallidire.
Come lo stesso Huxley sottolinea nel suo “Ritorno al mondo nuovo”, raccolta di saggi pubblicata nel 1958 tesa a dimostrare che molte delle profezie contenute in “Mondo nuovo” si erano realizzate anzitempo, Orwell aveva ambientato infatti il suo romanzo (scritto nel 1948) in un ipotetico Stato socialista, retto dai principi del marx-leninismo, assunto a paradigma degli stati totalitari del futuro. Huxley invece ambienta la sua favola in una società industriale, in cui il “fordismo” come ideologia politica ha del tutto soppiantato le pregresse tradizioni culturali e religiose, dando vita ad una nuova era, appunto l’era di Ford. Nel mondo nuovo ogni aspetto dell’esistenza umana (dalla nascita alla morte) è controllato dal potere politico attraverso l’uso delle moderne tecnologie; i cittadini di questa società non sono oppressi né da guerre né da malattie e possono accedere facilmente ad ogni tipo di piacere materiale; il benessere materiale è elevato a principio di vita e di fronte ad esso ogni altro valore viene sacrificato, ivi compresa la libertà umana (sostituita dai suoi surrogati, costituiti essenzialmente dal consumismo e dalla ricerca spasmodica del piacere). Affinché i delicati equilibri su cui questa ipotetica civiltà si fonda non vengano alterati, gli abitanti vengono concepiti e prodotti industrialmente in provetta e durante l’infanzia vengono condizionati con l’ipnopedia e altri mezzi tecnici affinché da adulti occupino ruoli sociali prestabiliti. Nel nuovo mondo non c’è posto per emozioni e sentimenti, sacrificati sull’altare del progresso tecnico e del razionalismo produttivistico. Gli stessi problemi e disagi esistenziali vengono trattati come problemi medici e risolti attraverso l’uso di particolari composti chimici che restituiscono temporaneamente fiducia e serenità agli individui proiettandoli in un fantastico mondo immaginario (come non pensare all’odierno mercato di tranquillanti, psicofarmaci, eccitanti e droghe di ogni genere, costantemente in espansione nelle società post-industriali?).
Insomma, quello che Huxley descrive in queste pagine è una inedita forma di totalitarismo del futuro (per certi aspetti “soft”, se confrontato coi totalitarismi “classici” del ‘900, ma non meno pericoloso e disumanizzante) di cui egli coglie lucidamente le premesse nell’Occidente industrializzato. Il dato inquietante è che gli anni vanno confermando i timori e le previsioni dell’autore. Di alcune profezie lo stesso autore vedeva già una prima realizzazione nell’ormai lontano 1958 (data di pubblicazione del “Ritorno al mondo nuovo”). Altre vanno attuandosi straordinariamente nel tempo presente sotto i nostri occhi e fanno pertanto del “Mondo nuovo” – a differenza di tanti altri romanzi del genere utopico/distopico – una storia attuale, anzi una storia vera.
Uno dei capitoli del “Mondo nuovo” che a mio parere oggi prende plasticamente forma (Huxley ai suoi tempi poteva solo intuirlo senza però averne la riprova sul piano storico) è il terzo, ossia quello relativo alla moralità in una società super organizzata. Nell’epoca del “dopo Ford” in cui è ambientato il romanzo vediamo infatti che non esiste più la famiglia come istituzione sociale. Le nuove generazioni non conoscono più il significato di parole come “padre”, “madre”, visto che la riproduzione umana è ormai interamente svincolata dalla sessualità e organizzata “in provetta” con metodi industriali; anzi, l’uso di queste parole è evitato con imbarazzo dai più “vecchi”, quasi si trattasse di ingiurie o termini volgari da non far sentire ai ragazzi (Huxley sembra qui prevedere con largo anticipo lo sviluppo delle attuali “gender theories” e il loro programma di sostituire i concetti tradizionali di “padre” e “madre”, rinvianti alla differenza sessuale e alla sfera biologica della procreazione, con altri meno deterministici dal punto di vista biologico, come “genitore”, “partner”, “compagno”). Ancora, nella favola huxleyiana sono caduti tutti i “tabù” sessuali dell’epoca “prefordiana”, al punto che l’iniziazione al sesso avviene in fase sempre più precoce. Particolarmente vivida è la descrizione, fatta da Huxley non senza ironia, dei giochi erotici cui vengono sottoposti i bambini già all’età di otto-nove anni (ma l’età media per il primo approccio sessuale non si è realmente abbassata ai giorni nostri fino alla fase della pre-adolescenza?) e la preoccupazione dell’insegnante perché il bambino tende istintivamente a sottrarsi alle “avances” della ben più “intraprendente” compagnetta. Nel mondo nuovo, d’altro canto, la sessualità, essendo del tutto svincolata dalla sfera procreativa e affettiva (l’uso degli anticoncezionali è un dovere sociale inderogabile), risponde ad una finalità puramente edonistica e consumistica. Tutta l’organizzazione sociale e produttiva è volta a fare dell’individuo un “consumatore” di sesso: così, ad esempio, per risvegliare continuamente le “voglie” sessuali delle persone, vengono loro propinate con insistenza immagini e rappresentazioni erotiche (prefigurazione del mercato del porno?) e i cinema proiettano per il gaudio del grande pubblico i cosiddetti “film odorosi” (una sorta di film a luci rosse in cui, alla suggestione delle immagini, si aggiunge quella degli odori). Non esiste ovviamente più il matrimonio, dal momento che nel nuovo mondo non c’è più la famiglia ed è inconcepibile lo stesso valore della fedeltà nel rapporto di coppia; anzi, la promiscuità sessuale viene incentivata dalla propaganda governativa, che guarda con sospetto ad ogni forma di legame affettivo stabile e duraturo.
L’ipersessualizzazione della società (espressione con cui non pochi studiosi moderni caratterizzano l’odierna società del benessere) è perseguita nel nuovo mondo a tutti i livelli e coinvolge uomini e donne di tutte le età, dall’età infantile alla vecchiaia. “Ora – questo è il progresso – i vecchi lavorano, i vecchi hanno rapporti sessuali, i vecchi non hanno un momento da sottrarre al piacere, un momento per sedere e pensare”, proclama in tono trionfante il Governatore del Nuovo mondo. L’erotizzazione delle masse diventa allora uno strumento di controllo sociale, valendo ad eliminare negli individui ogni forma di tensione emotiva distruttiva o anche creativa. “Il sentimento – spiega il Governatore del Nuovo mondo – sta in agguato in questo intervallo di tempo tra il desiderio e il suo soddisfacimento”, ragion per cui, se si vogliono tenere a bada le masse, bisogna accorciare (e possibilmente annullare) questo intervallo di tempo, garantendo agli individui l’immediata soddisfazione dei propri impulsi fisiologici. “Giovani fortunati! – così esclama il Governatore della favola huxleyiana – Non è stata risparmiata alcuna fatica per rendere le vostre vite facili dal punto di vista emotivo; per preservarvi, nei limiti del possibile, dal provare qualunque tipo di emozione”. Un concetto simile sarà espresso molto più tardi dal filosofo Herbert Marcuse nel suo fortunato saggio “L’uomo a una dimensione” (1964), quando, nel denunciare l’apparenza di “libertà sessuale” delle società avanzate, parlerà di “desublimazione repressiva” per riferirsi al fatto che sotto la parvenza della fine dei tabù si nasconde in realtà una liberalizzazione “amministrata” e commercialmente redditizia del sesso, ai fini di un adattamento repressivo dell’individuo al Sistema. Anche sotto questo aspetto Aldous Huxley è stato invero profetico, preconizzando la “liberazione sessuale” delle società avanzate e al contempo evidenziandone le cause e i pericoli. Lo stesso ideale di un mondo pacificato e senza tabù sessuali, così caro al Sessantotto ed espresso dal motto hippie “Fate l’amore, non fate la guerra”, si rivela pertanto per Huxley un’anti-utopia dai risvolti potenzialmente totalitari di fronte alla quale dovremmo tenere tutti gli occhi molto aperti.