Il cristianesimo non è una spiritualità inoffensiva. È la pazza follia di essere raggiunti da un amore che è infinito. Se no, non è niente
di Timothy Radcliffe
Qualche sera fa padre Timothy Radcliffe – già maestro generale dei domenicani – ha tenuto nell’Abbazia di Westminnster una conferenza sul tema «Una verità che disturba: la Chiesa, i poveri e Oscar Romero». Di quest’intervento – tradotto in italiano dal sito www.finesettimana.org – proponiamo oggi la parte conclusiva (rimandando a questo link per la lettura del testo integrale).
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«Martire» è la parola greca per «testimone». Circa 100.000 cristiani sono ancora uccisi per la loro fede ogni anno. Ci sono stati più martiri nel XX secolo che in tutti i precedenti secoli della storia cristiana. È passato molto tempo da quando dei cristiani sono morti per la loro fede nel nostro paese. È forse perché la Gran Bretagna è così tollerante o perché siamo così innocui? Forse un po’ entrambe le cose. (Abbiamo tabelle con i turni per la sistemazione dei fiori e la pulizia della chiesa. Ma non ci possiamo immaginare una tabella per essere uccisi: «Abbiamo ancora un posto vuoto nella tabella del martirio per venerdì. Qualcuno è libero?»).
Ho predicato sul martirio in una delle nostre grandi cattedrali quest’estate. Ci sono andato pesante come una palla di piombo. Forse, se diventiamo insistenti, caparbi testimoni della violenza sofferta dai poveri nel nostro paese, anche noi potremmo diventare impopolari. Ad esempio, se dovessimo mostrare come la nostra prosperità sia talvolta il frutto della sofferenza delle persone in varie parti del globo, che muoiono prematuramente a causa dell’inquinamento, dello sfruttamento nelle fabbriche, oberati di lavoro e sottoalimentati. William Cavanaugh ha fatto notare quanto il suo Paese, l’America, fosse notevolmente coinvolto nella morte di Romero: «La pallottola che esplose nel petto di Oscar Romero era prodotta negli USA, così come il fucile da cui fu sparata. Entrambi furono pagati con i dollari delle nostre tasse; abbiamo pagato anche per trasportare due dei tre ufficiali responsabili per l’assassinio alla Scuola dell’esercito USA a Fort Benning, in Georgia. Quando guardo il film Romero, vorrei disperatamente che Romero e i poveri salvadoregni fossero "noi". Invece, la verità è che io sono "loro" tanto quanto sono "noi"».
Che cos’è la verità che i martiri testimoniano? La vita di Romero era radicata nella Parola di Dio, una parola di amicizia. Invita ad aprirci, per essere liberati dall’ossessione di sé. Ci chiama a crescere e a trovare la felicità in un amore che non conosce confini. Il cristianesimo non è una spiritualità inoffensiva… Non è accendere una candela… Non è un accessorio stile di vita o un po’ di legame sociale. È la pazza follia di essere raggiunti da un amore che è infinito. Se no, non è niente.
Talvolta, ciò richiede un dono di sé drammatico e radicale, come per i martiri che vediamo sulla facciata occidentale dell’Abbazia. Ero un bambino di otto anni, immaginavo nemici paracadutati che ci chiedevano di rinunciare alla nostra fede. Il piccolo Radcliffe avrebbe rifiutato e sarebbe morto eroicamente in un crepitare di pallottole, senza dolore, ma universalmente ammirato.
Ma normalmente la nostra testimonianza non è né drammatica né sensazionale. Passa inosservata. Possono essere genitori che faticosamente nella notte lasciano il letto caldo per nutrire un bambino urlante, o che si prendono cura di una persona che ha dimenticato chi ha intorno, persa nella malattia di Alzheimer. Può essere un insegnante che rimane alzato fino a tardi per preparare le lezioni per il giorno dopo, o anche solo qualcuno che si preoccupa di sorridere a chi è spossato, sfinito. Può trattarsi di dire sinceramente ciò che si pensa, anche se questo potrebbe rovinare la carriera o far perdere il lavoro.