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Uguaglianza nella differenza: la questione gender arriva al Seraphicum

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Emanuele D'Onofrio - Aleteia Team - pubblicato il 18/11/13

Fra Domenico Paoletti, preside della Facoltà, presenta il convegno: “La fede deve lasciarsi provocare dalla cultura per provocarla a sua volta”

Siamo alla vigilia di un coraggioso incontro multidisciplinare su una delle tematiche più spinose dei giorni nostri, in cui natura e cultura si sfidano in campo aperto. Alle ore 16 di domani, martedì 19 novembre, nell’Aula Sisto V della Pontificia Facoltà Teologica “San Bonaventura” – Seraphicum, si terrà il convegno “La questione gender tra natura e cultura”, promosso dall’Istituto Mulieris Dignitatem della Facoltà alla cui guida è stato appena eletto Fra Giulio Cesareo. Ci saranno tre relatori, i quali affronteranno il tema da tre diverse prospettive: in particolare, il prof. Francesco D’Agostino, Università di Tor Vergata, da quello filosofico, Padre Livio Melina, Preside del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II, da quello teologico, e Maria Beatrice Toro, docente all’Università Lumsa di Roma da quello psicologico. Vi presentiamo alcune riflessioni che quest’ultima ha offerto ad Aleteia, insieme ad una presentazione dell’evento da parte del preside del Seraphicum Fra Domenico Paoletti, che domani introdurrà tutti gli interventi.

Questo evento è segno di una nuova attenzione del mondo cattolico alla questione del genere, in cui il Seraphicum è in prima fila?

Fra Paoletti: Il convegno di domani si pone all’interno di questo dibattito culturale, che è provocato dalla filosofia, o meglio dalla ideologia “gender”, e che mette in discussione a mio avviso l’equilibrio del rapporto tra natura e cultura. C’è una polemica abbastanza accesa su questo, diversi orientamenti, per cui occorre riflettere e fare luce su questo argomento, evitando prese di posizione pregiudiziali. Noi come Centro accademico, come Facoltà teologica, poniamo grande attenzione alla ricerca della verità alla luce della fede, guardando alla realtà anche di questa problematica.

La considera una scelta coraggiosa?

Fra Paoletti: Oggi la fede deve lasciarsi provocare per provocare a sua volta la cultura, che a volte mi sembra un po’ superficiale. Questo convegno – dove attraverso i tre interventi verranno trattati tre diversi piani, filosofico, teologico e psicologico – vuole dare un contributo a riconoscere la realtà donata, che qui è assente. E’ giusto farsi da sé, ma prima c’è il dato donato che, se accolto, permette una libertà e una reciprocità. Questa reciprocità è iscritta nelle nostre molecole, c’è una differenza naturale. Questo è un aspetto che fino a qualche anno fa non dava problematiche, era riconosciuto; oggi dobbiamo fare un convegno, scrivere, dibattere, senza avere paura.

È interessante l’approccio multidisciplinare: cosa può portare la visione cristiana nell’esplorare questa tematica?

Fra Paoletti: La fede cristiana è una fede ragionevole, ha in sé una ragione che è anche capacità di argomentare e dunque tocca tutta la realtà, non solo l’aspetto sentimentale o etico, o relazionale. Il convegno, nelle tre prospettive che offre, vuole far capire che la differenza sessuale è un dato di natura, non una costruzione. C’è un dato di natura che poi la cultura deve coltivare, promuovere, far germogliare. Allo stesso modo, noi siamo così attenti all’ambiente, ad esempio alla foresta dell’Amazzonia, e poi permettiamo che l’uomo disfi, si faccia da solo, proceda con la manipolazione genetica. Sono cose molto delicate e mettere a fuoco questo aspetto è l’apporto che noi vogliamo dare col convegno.

Questa iniziativa rilancia le attività dell’Istituto Mulieris dignitatem. Quale sarà il campo di operazioni di questo istituto?

Fra Paoletti: L’istituto è nato nel decennale della lettera di Giovanni Paolo II, Mulieris Dignitatem per studiare l’unidualità uomo-donna. Questa oggi è una grande provocazione. L’uguaglianza non elimina la differenza, anzi ha bisogno della differenza. La dignità, le pari opportunità devono rispettare questa differenza tra uomo e donna. Questo è quello che vuole promuovere questo istituto attraverso convegni, ricerche, pubblicazioni e seminari qui all’interno della nostra facoltà.

Ci può definire la questione del genere, diventata così viva ai giorni nostri?

Toro: La questione del genere è molto delicata, perché in essa si sovrappongono stimoli socio-culturali che riguardano la fluidità identitaria che caratterizza il nostro tempo, non solo riguardo al genere, ma anche riguardo alla continua costruzione e decostruzione dell’identità a cui siamo tutti continuamente sottoposti. Nella società liquida anche l’identità adulta – ed è un tema questo che ho trattata nel mio libro Adolescenza e adultescenza – si è liquefatta, fino ad assomigliare un po’ all’identità adolescenziale. In questo senso le formule identitarie che ci vengono proposte a livello sociale culturale sono tante e di tutti i tipi, molti dei quali riguardano gli stereotipi sessuali e di genere. Se è vero che sono tramontati alcuni modi di pensare il ruolo legato al genere sessuale, è pur vero che riguardo a quello che sta emergendo non c’è certezza, perché vengono avanzati modelli diversi in ambiti socio-culturali diversi.

Qual è il compito degli psicologi, allora, in questo campo?

Toro: Noi psicologi abbiamo un compito delicatissimo, che è quello di riuscire a cogliere tutte le variazioni, le differenze e i disagi che ci sono nelle situazioni identitarie. Ritengo che sia un grande passo avanti quello di renderci conto delle tantissime variabili, e questo è un aspetto che è molto cambiato: ad esempio, non tutte le persone che hanno un orientamento di genere difficoltoso, o non si sentono rappresentate dallo stereotipo culturale del proprio genere, vivono questa situazione con serenità, magari molte entrano in conflitto con loro stesse. Da psicologi è importante favorire la presa di coscienza della persona cercando di aiutarla a determinarsi nella maniera più serena possibile. Ed è un discorso davvero complesso, perché vuol dire che esiste un tipo di disforia legata al genere, una sofferenza rispetto al proprio genere. Davvero sono in ballo natura e cultura: certamente il genere è culturale, ma il sesso è una realtà biologicamente determinata, quando c’è differenza tra la propria percezione del proprio sesso biologico e della propria identità di genere chiaramente possono nascere una serie di problematiche e di disagi.

Qual è la sua percezione rispetto a come il mondo cattolico affronta oggi la questione del genere?

Toro: Questo convegno lo trovo un evento importantissimo, perché abbiamo bisogno di lavorare a livello multidisciplinare, per accogliere dalle varie discipline nuovi modi di pensare. Il confronto con la realtà dev’essere sempre il primo dato che ci caratterizza. E quindi, dato che la realtà è quanto mai multiforme, trovo fondamentale che anche all’interno del mondo cattolico ci si voglia rinnovare. Questa è una tematica davvero complessa. Anche a livello scientifico non è che si sappia molto, c’è molto da scoprire: il DSM 4 [il manuale Diagnostico e statistico dei disturbi mentali – quarta revisione] parlava di disturbo dell’identità sessuale, quindi di una patologia, mentre ora si parla di disforia quando una persona ha un problema. E quindi occorre che tutti noi ci interroghiamo seriamente e serenamente per capire che cosa succede, e per capire in quali panni deve stare una persona per stare bene. Anche identità di genere vuol dire tante cose: se io ho un’identità di genere femminile e mi riconosco nel ruolo femminile, come lo posso declinare questo, cosa vuol dire? Vuol dire che come donna mi devo dedicare solo alle relazioni e non posso affermarmi nel lavoro? È chiaro che questo tipo di approccio non è più all’altezza dei tempi, perché non si può più ragionare delle cose in questi termini ma bisogna tener conto di tante sensibilità. Quindi giudico in maniera del tutto positiva questa apertura a tematiche sì spinose, ma rispetto alle quali non ci si può girare dall’altra parte, perché poi riguardano la vita di migliaia di persone, peraltro anche di minori.

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