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Corea del Nord: se leggi la Bibbia rischi la pena di morte

Corea del Nord: se leggi la Bibbia rischi la pena di morte

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Roberta Sciamplicotti - Aleteia Team - pubblicato il 12/11/13

All'inizio di novembre 80 esecuzioni nel Paese, tra le accuse anche il possesso di Bibbie

La Corea del Nord non sembra trovare pace. L'ascesa al potere del giovane Kim Jong-un non aveva suscitato grandi speranze di cambiamento in un Paese afflitto da povertà e repressione, e gli ultimi eventi dimostrano che la sfiducia era “ben riposta”.

Il 3 novembre, come ha reso noto il quotidiano sudcoreano Joong Ang Ilbo dopo aver raccolto la notizia da disertori del regime comunista, 80 persone sono state infatti giustiziate in sette località del Paese asiatico. Tra le accuse, aver guardato canali televisivi e film sudcoreani, ormai sempre più disponibili nei mercatini illegali, il possesso di Bibbie, la prostituzione e aver visionato materiale pornografico.

Secondo il quotidiano, le esecuzioni sarebbero avvenute sempre in pubblico. Nella città di Wonsan, il regime ha riunito 10.000 spettatori nello stadio per assistere alla fucilazione di un gruppo di otto uomini e donne (Tempi, 12 novembre).

L'iniziativa delle esecuzioni pubbliche, già sperimentata in passato, è ritenuta dal Governo centrale una misura estrema per stroncare disordini pubblici o “accelerate di forme di capitalismo” nei progetti di sviluppo curati dal regime (Rainews24, 11 novembre).

Tra gli obiettivi, i cristiani, costantemente perseguitati in Corea del Nord. Nel campo di concentramento per prigionieri politici di Yodok, 6.000 mila persone sono state rinchiuse solo perché cristiane o perché possedevano una Bibbia. Qualche mese fa, studiando le immagini dei satelliti, alcuni analisti hanno scoperto che la popolazione delle persone rinchiuse nei campi di concentramento si è ridotta in modo notevole. “Nel campo 22 c’erano 30 mila prigionieri, sembra che 7-8 mila siano stati rilasciati. Ne mancano all’appello 20 mila. Forse liquidati” (Corriere della Sera, 12 novembre).

All’inizio dell’anno l’ONU ha istituito una commissione speciale sugli abusi dei diritti umani in Corea del Nord, ascoltando testimonianze raccapriccianti come quella di Shin Dong-hyuk, 30 anni, rifugiato a Seul che racconta di essere nato in uno dei lager.

“Ho visto impiccare mia madre e mio fratello, perché avevano progettato di fuggire e li avevano scoperti. Avevo 14 anni. Che cosa ho provato? Niente, succedeva spesso”, ha confessato (Corriere della Sera, 12 novembre). Gli investigatori ONU gli hanno chiesto com’era stata scoperta la madre: “L’avevo denunciata io, in cambio di cibo”. L'uomo è stato sottoposto alla macchina della verità per testare la veridicità dell'orrore che ha raccontato, e ha passato la prova sette volte.

Per Rosella Ideo, coreanista e studiosa di storia politica e diplomatica dell’Asia orientale, “è un bene che sia stata istituita una Commissione per i diritti umani, che è indipendente e che non ha potere giudicante” (Radio Vaticana, 11 novembre).

Il giudice australiano Michael Kirby, che presiede questa Commissione composta da tre membri, ha ascoltato moltissime testimonianze, postandole di modo che fossero pubbliche. Ha chiesto alla Corea del Nord di potere andare a verificare di persona l’esistenza dei gulag, ma non ha ricevuto permessi per andare a rilevare queste violazioni, dichiarando: “Io ho la versione che mi danno i rifugiati che sono stati nei campi di concentramento, ma non ho evidenze da poter portare contro la Corea del Nord”.

“È evidente che questi campi esistono, perché ormai c’è un numero di testimonianze incrociate tale che non è possibile pensare il contrario”, ha commentato la Ideo. “Temo che quando si apriranno questi gulag, la cui esistenza è provata, si aprirà insieme un vaso di Pandora”.

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