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Il grande inganno della rivoluzione sessuale del ’68

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L'Osservatore Romano - pubblicato il 06/11/13
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“La doppia vita dei coniugi Horn” di Anne Lise Marstrand-Jorgensen descrive perfettamente il fallimento dell’utopia degli anni Sessanta e le sue disastrose conseguenzedi Lucetta Scaraffia

L’autrice dei due bellissimi volumi biografici dedicati a Ildegarda di Bingen cambia totalmente argomento: nel suo nuovo romanzo (La doppia vita dei coniugi Horn, Milano, Sonzogno, 2013, pagine 544, euro 19,50) Anne Lise Marstrand-Jorgensen racconta la storia di una famiglia danese degli anni Sessanta travolta dalla rivoluzione sessuale. Anche se il romanzo – come sempre scritto con grande maestria ed estremamente coinvolgente — termina con un ringraziamento a «coloro che hanno fatto sì che tutti noi oggi abbiamo maggiori possibilità di scelta di una volta», e dunque anche se l’autrice in fondo sembra simpatizzare per lo spirito rivoluzionario, in realtà l’intreccio costituisce una inequivocabile accusa contro i danni e le sofferenze che una utopia, sbagliata come tutte le utopie, ha potuto causare.Alice ed Eric sono una giovane coppia innamorata, due coniugi belli che apparentemente hanno tutto: tre figli sani e intelligenti, una bella villa in un sobborgo residenziale, un tenore di vita superiore a quello di cui godevano nelle famiglie d’origine.

Alice ha rinunciato al lavoro per seguire figli e famiglia, ma non le dispiace: l’inquietudine viene da Eric, che ha partecipato da giovane a manifestazioni per la pace, in cui ha sperimentato l’ebbrezza di vivere e cooperare personalmente a un cambiamento della società, e ora si trova stretto in una vita così perfetta ma anche ripetitiva e come già tutta definita. L’incontro con un ex-compagno di studi divenuto hippy – che si fa chiamare Sufi e vive in una comune dal nome significativo di Paradiso – lo porta a desiderare la libertà sessuale, ma non nel modo tradizionale dell’adulterio nascosto, ma come prospettiva da vivere sinceramente, insieme con la moglie. Alice spaventata dalla proposta resiste per un po’ ma poi, per paura di perdere Eric, accetta e viene coinvolta in una serie di rapporti che la sconvolgono. Nel trascorrere del tempo, si accorge che mentre per lei la situazione diventa insostenibile, per Eric il desiderio di libertà si amplia sempre di più. Quando Alice gli chiede di rinunciare a questo gioco pericoloso, per tornare alla loro vita normale, Eric le risponde con un tradimento, questa volta anche affettivo, realizzato di nascosto. Alice comprende e non vede altra soluzione che il suicidio.

La seconda parte del libro è la difficile storia del vedovo e dei bambini dopo la morte di Alice: il dolore aspro dei primi tempi, e poi una forma di normalità che nasconde per i figli pesanti fardelli che li portano a commettere errori da cui è difficile emergere. La più colpita risulta essere proprio la primogenita, Marie-Louise, la più somigliante alla mamma e la più giudiziosa, quella che si occupava diligentemente dell’andamento domestico: a sedici anni, incinta del preside del suo istituto, abbandonerà la scuola per occuparsi del bambino, in solitudine. La seconda figlia, la più intelligente e ribelle, a modo suo ripercorre la via del padre avvicinandosi al mondo hippy, mentre il figlio piccolo diventa violento e taciturno. Davanti a questo sfacelo, però, Eric risponde ancora una volta con una scelta “rivoluzionaria”: decide di lasciare tutto per andare in India per sei mesi, con il gruppo hippy di Sufi.

In questo romanzo è raccontato, come non possono fare testi storici o sociologici, il dolore che provoca la scelta utopica in una famiglia normale: non è che le famiglie tradizionali trabocchino di felicità, ma almeno i figli sono protetti dalle esperienze più estreme e il tessuto familiare non viene lacerato. Eric invece, seguendo l’utopia e una forma un po’ egoistica di sincerità, ispira le sue scelte solo alla realizzazione di se stesso, senza vedere i bisogni e le debolezze delle persone di cui è direttamente responsabile. In un delirio di onnipotenza, pensa che sia possibile avere tutto: libertà e famiglia, responsabilità e avventura.

L’aspetto più interessante del romanzo è quello che collega il benessere nuovo di cui godono le famiglie di cui si parla, frutto del boom degli anni Sessanta, alla ricerca di nuove esperienze e nuove utopie. Come se fosse proprio la delusione davanti al fatto che il benessere tanto sospirato non coincide con la felicità a spingere alcuni verso queste nuove e pericolose esperienze. In una società secolarizzata, in cui non c’è spazio per l’anima e la ricerca di Dio, la delusione può solo spingere verso l’utopia. Alice, negli ultimi giorni di dolore, ricorda con nostalgia la vita modesta ma tranquilla dei suoi genitori, una coppia unita soprattutto dalla comune lotta quotidiana per la sopravvivenza economica, ma non per questo priva di tenerezza reciproca.

Nonostante il ringraziamento dell’autrice faccia pensare a una sua adesione al progetto di liberazione sessuale, il romanzo individua – con una lucidità che manca a molti scritti scientifici – il malessere che ha dato alimento all’utopia, e le conseguenze di questa perdita di senso della responsabilità dei legami sociali di un mondo che suggerisce a ciascuno solo la ricerca della realizzazione di sé.

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