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Caso Cancellieri: la scarcerazione di Giulia Ligresti fu abuso di potere?

Anna Maria Cancellieri

© DR

Lucandrea Massaro - Aleteia Team - pubblicato il 06/11/13

Forse uno dei ministri che più si è impegnata per i diritti dei carcerati, ma ha fatto un errore con quella telefonata oppure ha assolto il suo compito?
“O tutto o niente»: questo sembra essere diventato il principio di coloro che si sono impegnati a giudicare la frase pronunciata dal ministro Cancellieri. Ha aiutato una persona? Non basta. Ne ha aiutate 100? Non basta ancora. Ha segnalato mille casi? Non basta, non basta. Deve interessarsi di tutti. Non ce la fa? E allora meglio non occuparsi di nessuno. Dietro questo ragionamento c’è l’invidiabile convinzione che sia possibile stabilire in Terra il perfetto mondo di Dio o della Dea Ragione, un paradiso nel quale nessuno si ammala, nessuno sbaglia, nessuno muore. Io invece sto dalla parte del ministro Cancellieri” Con queste parole Don Gino Rigoldi in una lettera al Corriere della Sera difende l'operato di Anna Maria Cancellieri nel famoso caso di scarcerazione di Giulia Ligresti, figlia del noto imprenditore finito agli arresti – assieme alla famiglia – per false comunicazioni sociali. Don Gino si occupa di carceri da 40 anni e sa bene cosa voglia dire la galera, i suoi ritmi, i suoi drammi umani. (Corriere della Sera, 5 novembre)
Ma il tema che ha diviso la maggioranza dall'opposizione e che ha infiammato l'opinione pubblica è certamente il fatto che un Ministro si sia occupato di un detenuto eccellente. La Cancellieri si è occupata di Giulia perché amica della compagna di Salvatore Ligresti. La Cancellieri si è occupata di Giulia perché il figlio ha lavorato come dirigente in Fonsai. Questa è l'accusa, non il diritto, ma il privilegio, perché in tanti sono nelle condizioni di Giulia e soffrono il carcere eppure sono lì. 
“La Cancellieri difende la sua condotta: non ho mai derogato ai doveri di ministro, dice, definendosi persona libera, ammettendo la sua amicizia con il capostipite dei Ligresti, Antonino, ma chiarendo di non aver mai permesso alla sua carriera di essere influenzata da rapporti personali. Giulia Ligresti quindi, precisa il ministro, non ha avuto un trattamento privilegiato o differenziato, "con lei ho agito come in oltre cento casi"” (Radio Vaticana, 6 novembre) 
E in effetti risultano diversi interventi umanitari del ministro, interventi particolari su singoli casi così come il suo ruolo prevede, ma anche un provvedimento erga omnes: il cosiddetto “svuotacarceri” che non è altro che l'applicazioni di pene alternative e provvedimenti in tema di dignità personale dei detenuti.
Intervistato da Tempi, il direttore di Europa (giornale vicino al PD che ha difeso la ministra), Stefano Menichini: «Il problema non è il supposto beneficio, la protezione politica della ministra, che ha agito rispettando la legge, ma l’abnormità della carcerazione preventiva, la distrazione – o peggio – di una magistratura che si concede lunghe pause estive mentre i carcerati marciscono in galere disumane e sovraffollate». (6 novembre)
Stessa domanda che si pone il quotidiano dei Vescovi, Avvenire, in un fondo di Marco Olivetti sulla questione: “Per rispondere a questa domanda, oltre al principio della dignità umana dei detenuti, si deve invocare la vexata quaestio dell’abuso della carcerazione preventiva, che è oggetto di dibattito anche in questi giorni (magari muovendo da un dato: in Italia il 30% della popolazione carceraria è composto da detenuti in carcerazione preventiva, contro il 15% nel Regno Unito). La signora Ligresti, infatti, non era in carcere per espiare una sentenza passata in giudicato, ma era in attesa di giudizio. Essa, dunque, per la nostra Costituzione era, ed è, presunta non colpevole. E il ricorso alla carcerazione preventiva – che l’articolo 13 della Costituzione italiana circonda di accurate garanzie, per lo più svuotate oggi dall’assetto organizzativo della magistratura italiana e dalla "cultura delle manette" che alberga presso certi giudici e pm – dovrebbe essere l’eccezione e non la regola e dovrebbe essere usata come mezzo di ultima istanza, sussidiario rispetto ad altre misure cautelari, ove ritenute necessarie” (2 novembre)
Può uno Stato di diritto permettersi il lusso di calpestare la libertà personale e poi prendersela con ogni tentativo – ancorché imperfetto e limitato – di rivedere il sistema che ha portato a quell'abuso?
La carta Costituzionale ha avuto grande vitalità non solo per la sua resistenza alle modifiche, ma perché forte di alcuni principi di libertà, solidarietà ed equità che la caratterizzano. La Cancellieri ha usato parole pesanti al telefono, ma era in una conversazione privata, una confidenza tra amici e implicitamente criticava lo stato delle cose, cioé l'abuso e non l'uso della carcerazione preventiva.
Infine la stessa procura di Torino, competente del caso, in una nota ufficiale ha definito: “arbitraria e del tutto destituita di fondamento ogni illazione che ricolleghi la concessione degli arresti domiciliari a circostanze esterne di qualunque natura”. Dunque nessun abuso di potere, che altrimenti i giudici avrebbero dovuto sanzionare aprendo un fascicolo. (Il Post, 4 novembre).
Ma allora di cosa stiamo parlando? Forse dell'opportunità politico-istituzionale che un ministro della Repubblica dica “qualsiasi cosa io possa fare conta su di me”? Ma cosa ha fatto poi, se non usare i poteri di cui è investita per la tutela della salute e della dignità dei carcerati? Forse davvero siamo di fronte ad una indignazione di natura non civica, ma di bassa lega, basta sull'invidia sociale e non su una idea superiore di “Giustizia”.

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