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Equo compenso: rimettere al centro dei rapporti economici la carità

manager e operai

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Lucandrea Massaro - Aleteia Team - pubblicato il 05/11/13

Colloquio sulle retribuzioni dei manager e l'equità sociale con padre Luciano Larivera, gesuita di Civiltà Cattolica
Tempo di finanziarie in Italia, tempo di taglio dei costi e delle spese e tempo di polemiche sui costi delle dirigenze. Un tema spesso demagogico, più volte sbandierato dalle forze politiche contro questo o quello, ma è un tema di più ampio respiro che parla di equità, efficacia e parla – perché ne è un aspetto – di società. Esiste un limite etico alle retribuzioni dei manager? In alcuni paesi (ad esempio la Svizzera) hanno provato a porre dei paletti. Specialmente dopo la grave crisi finanziaria che ancora oggi fa sentire is suoi effetti, la figura del manager con contratti a 6 zeri che esce indenne dalle macerie dell'economia è diventato il simbolo di tutte le ingiustizie del mondo globalizzato del XXI secolo. Ma è tutto qui quello che siamo riusciti a pensare? Ci basta un capro espiatorio, meglio ancora se ricco e dunque ingiusto? Ne abbiamo parlato con padre Luciano Larivera, gesuita, che si occupa di economia ed etica per la prestigiosa rivista del suo Ordine: la Civiltà Cattolica. Con lui abbiamo cercato di delineare alcune idee e fatto qualche domanda. 
Padre Luciano parte proprio da qui, non dalla teoria economica, non dai meccanismi del mercato, ma dall'uomo e ci avverte subito che il cuore dei rapporti tra ceti sociali è attraversato anche dal peccato: “C'è il tema dell'invidia sociale, che crea un problema di convivenza. La cosiddetta 'indignazione' è spesso collegata a questo aspetto e la politica a volte la cavalca in maniera stupida e mistificatoria”. Prosegue spiegandoci che: “La dottrina della chiesa parla di 'giusto salario'. Il lavoro come diceva il Papa in Sardegna, è parte della identità della persona. Il vero discorso per la Chiesa è quello della dignità. In questo c'è unità di intenti con i cosiddetti “obbiettivi del millennio” dell'ONU. Dare a tutti un lavoro dignitoso, il cosiddetto 'decent work'. Posso accettare la sproporzione tra manager e dipendenti solo se anche io ho uno stipendio dignitoso. Perché il vero problema non è nella sproporzione,  il problema è nella impossibilità di vivere all'interno della dinamica sociale con pari dignità, non nella mera sussistenza. La gravità è quando in molti non hanno più alcuna garanzia a fronte di pochi privilegiatissimi. E questo crea tensioni sociali”. L'invidia che corrode i rapporti tra le persone. 
Padre Luciano ragiona con noi: “Dipende che tipo di effetti si vuole ottenere. Io posso tenere basse le aliquote, come Stato, sugli stipendi dei manager, così da invogliarli a restare in Italia, a tenere i migliori di loro, ma allora le aziende paghino “meno”. C'è una dimensione sociale nell'economia: senza la carità personale l'economia non va, non basta la redistribuzione sociale, che pure è essenziale. Quando in tanti sono senza lavoro, e pochi si arricchiscono, quella redistribuzione fatta dallo Stato non basta, serve l'impegno personale di ciascuno, la carità. Se un manager è ben pagato e il sistema della tassazione è equa può permettersi di versare la decima per i poveri”. “L'effetto della globalizzazione – prosegue – pone questi problemi. L'Italia deve immaginare nuovi meccanismi di sviluppo: innanzi tutto puntare sulla qualità, per creare ricchezza, poi serve una imprenditorialità sociale, una vera e propria “economia di carità” grazie alla quale redistribuire. C'è un tema di solidarietà sociale che si è persa in questi ultimi decenni. Sono molteplici i fattori che si attivano. Le economie locali devono favorire la cooperazione. Le famiglie sono un grande luogo di costruzione di benessere, ma si stanno disarticolando e sono andate in crisi anche a causa dell'impossibilità di crescere. Senza figli non c'è futuro e le famiglie esauriscono risorse e capacità di aiuto, anche economico”. Tutti aspetti che insieme immaginano una economia diversa, che mette al centro l'uomo e non il profitto, ma che – come si intuisce – non sono contro il profitto, perché quel benessere va cercato e favorito, ma anche redistribuito per la crescita della società. Ma si può pensare ad un diverso rapporto tra imprenditori e dipendenti? “Il prodotto di una azienda è sempre un prodotto congiunto, di fatto, è vero che una persona può essere sostituita con un'altra, ma c'è e ha dato il suo contributo alla crescita dell'azienda e al processo di produzione, ciascuno secondo le sue capacità e possibilità, chi di più, chi di meno. E' giusto che possano godere dei frutti di quella azienda, al di là del mero scambio contrattuale del salario”. 
Spostiamo il ragionamento sulla pubblica amministrazione, sullo Stato, insomma sul settore pubblico, “La nostra è sempre stata una economia mista, ma se le banche prestano allo Stato, non prestano al privato è inevitabile” L'Italia sta tornando un po' alla sua economia originale: come valorizzare il nostro territorio? “Abbiamo bisogno di maggiori capitali esteri” dice Larivera con semplicità, ma anche convinzione. L'importante è valorizzare quello che c'è di buono qui, favorendo l'esportazione. Sul passato? Due temi: debito pubblico ed efficienza energetica. Il primo è frutto di una idea sbagliata di sviluppo, la seconda di una dipendenza da cui dobbiamo imparare a fare a meno per non aggravare la situazione ereditata dal passato “Andare in pensione a 50 anni con pochi anni di contributi è un problema, ha creato debito, su cui tutti noi paghiamo interessi” “Tutti gli errori del passato sono diventati debito pubblico. Ci vorranno 15 o 20 anni per rimettere in efficienza il sistema della pubblica amministrazione”. Ma il problema è sempre quello di una classe dirigente che voglia accollarsi i rischi dell'impopolarità, e padre Luciano fa un parallelo con la Chiesa. Anch'essa ha questo tema che deve affrontare al suo interno, quello della “leadership”. “Se scegliamo i vescovi con criteri inadeguati, se formiamo clero in modo inadeguato, come possiamo dare un buon esempio? Dov'è la carità? Appena ieri festeggiavamo un grande santo, Carlo Borromeo. Ecco un esempio da seguire”. Ecco un vescovo, ecco un leader aggiungiamo noi.

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