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Crisi finanziaria, Becchetti: “Le grandi banche non hanno imparato la lezione”

Crisi finanziaria, Becchetti

Andre Blais

Emanuele D'Onofrio - Aleteia Team - pubblicato il 31/10/13

L’economista italiano sostiene che i piani per riformare i mercati finanziari sono definiti, ma manca il coraggio di realizzarli

Mentre alcuni grandi colossi finanziari si apprestano a pagare il conto per rimediare almeno in parte ai danni provocati con i propri comportamenti speculativi – è il caso della statunitense J.P. Morgan che avrebbe patteggiato un rimborso di circa 13 miliardi di dollari per chiudere le cause legate allo scandalo dei subprime – ci si accorge che molto occorre ancora fare per regolamentare il mercato finanziario e renderlo più amico dell’economia reale e del piccolo credito.

Leonardo Becchetti, professore di Economia politica all’Università di Tor Vergata e protagonista di numerose iniziative a difesa del microcredito e del bene comune, tra le quali la campagna 005 a sostegno della tassa sulle transazioni finanziarie, ne ha parlato ad Aleteia.

A cinque anni dal fallimento della Lehman Brothers, le banche coinvolte nel più grande crollo dell'era dei mercati finanziari hanno imparato la lezione?

Leonardo Becchetti: Assolutamente no. Intanto per risolvere il problema bisognava avere il coraggio al momento della crisi di salvare sì queste banche per evitare rischi sistemici, ma di farlo ponendo delle condizioni molto più dure. Quindi riducendone le dimensioni e superando il sistema del “too big to fail”, quindi facendo una vera azione di antitrust. Questo non si è avuto il coraggio di farlo e oggi ci ritroviamo ancora queste banche sistemiche che sono troppo grandi, che giocano con derivati che al 97% sono utilizzati solo per motivi speculativi. Quindi la minaccia incombe ancora: il sistema finanziario assomiglia più ad una bisca piuttosto che a un settore dove si raccolgono risparmi per finanziare l’economia reale.

Quali sarebbero le mosse da fare per raggiungere questo scopo?

Leonardo Becchetti: Per riportare il sistema finanziario al sistema dell’economia reale basterebbero quattro piccole mosse che sono quelle che come “campagna 005” noi proponiamo, cioè: la tassa sulle transazioni, la separazione tra banca commerciale e banca d’affari, la regolamentazione dei derivati e la lotta ai paradisi fiscali.

Lei ha mai sentito un’autocritica da parte delle istituzioni di controllo, che si sono rivelate incapaci di ostacolare gli eccessi del mercato?

Leonardo Becchetti: Ci sono stati rapporti di autorità diverse, anche indipendenti, che hanno spiegato molto bene i problemi. Oggi si concorda su quelli che sono i problemi: penso al rapporto Vickers nel Regno Unito e al rapporto Liikanen scritto dagli esperti in regolamentazione nell’Unione Europea. Il problema vero è che sebbene tutti abbiano capito che cosa si dovrebbe fare, ancora non abbiamo trovato la forza di farlo. E questo è un problema di rapporti di forza: quando l’Europa ha dimostrato che con decisione vuole imporre la tassa sulle transazioni finanziarie le grandi lobby hanno mandato centinaia di lobbisti a Bruxelles per convincerli a fare il contrario. Questo è il normale gioco dell’economia, il problema è che questa lobby è diventata troppo grande e ci è sfuggita di mano.

Le mosse per riformare ancora il mercato finanziario che ha menzionato prima, nell’agenda della campagna 005, sono in linea con la dottrina sociale della Chiesa?

Leonardo Becchetti: Certamente sì. La Commissione Giustizia e Pace internazionale ha scritto diversi documenti sottolineando l’importanza di una finanza al servizio dell’economia reale e del bene comune, e si è dichiarata fortemente a favore – provocando anche polemiche qualche tempo fa – di una tassa sulle transazioni che penalizzasse l’uso speculativo del denaro rispetto all’uso tradizionale di finanziamento all’economia e che servisse a finanziare i pubblici globali. Quindi siamo pienamente in questo solco. Tra l’altro il Pontificio Consiglio Giustizia e Pace del Vaticano è molto attivo in questo periodo proprio per lavorare a queste proposte di riforma della finanza. La finanza può essere una slot machine, oppure può essere un sistema che crea valore reale e che produce inclusione sociale – penso a quando andiamo a capitalizzare banche del microcredito oppure finanziamo banche tradizionali. Direi dunque che oggi la frontiera principale su cui si gioca il nostro futuro è proprio quello della finanza, e la dottrina sociale ne è pienamente conscia a partire dalla Caritas in Veritate fino a tutto quello che è stato scritto dopo, dalla globalizzazione in poi.

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