L’invulnerabilità del discepolo nasce dalla sua ricerca totale della giustizia, delle qualità essenziali della vita divina.
La terra a questo punto apre le sue porte al discepolo fedele e fermo che ha raggiunto la mitezza, la perfetta spogliazione da ogni forma di opposizione e di chiusura egoistica. Accoglie tutta la vita con indulgenza comprensiva, con tolleranza e fiducia.
Il mite indirizza tutte le sue energie verso la bontà essenziale e costante del Padre che è nei cieli. Vivendo in Dio, nel permanente, è indulgente con tutti gli smarrimenti del transitorio, avvolge di serena mansuetudine le manifestazioni dell’essere creato; essendo fondato nell’onnipotenza divina, non teme alcuna ribellione; vivendo nella verità, orienta con mitezza chi è smarrito verso la verità.
Agli occhi del mondo appare come un rovinato: non cerca il successo, la violenza, il potere, non è avido di beni esteriori, avendo la consolazione, la pace armoniosa che lo Spirito porta a chi è divenuto suo tempio. «Beati quelli che piangono» (Lc 6, 21; Mt 5, 4).
Il termine dell’ascesa, scandito dalle Beatitudini, è il raggiungimento dello Spirito, della scintilla divina, del germe della seconda nascita, del punto di tangenza con l’assoluto, nella sua essenza liberata da quelle incrostazioni che l’esistenza vi ha depositato, la conquista della nudità dello Spirito, spoglio di quelle vesti che la carne, la volontà, la ragione vi hanno costruito sopra.
Il cammino delle Beatitudini è la perfetta legge dell’identificazione della materia e dello Spirito, la legge dell’unità, perciò della giustizia e dell’amore. La perfetta sinfonia che assomma i valori e i ritmi del ritorno dell’uomo nell’unità, semplice e spoglia, della sua origine divina.
(1° novembre – Festa di tutti i santi – Anno C – in La vita senza fine, V ed. Centro studi ecumenici Giovanni XXIII. Sotto il Monte – CENS. Milano 1985, pp. 234-237).