Molti lo ricordano perché è stato protagonista di un duro scontro tra i media e la Santa Sede, ma Domenico del Rio – il vaticanista storico della Repubblica morto 10 anni fa – è stato poi il giornalista forse più caro a Giovanni Paolo II, che ne seguì il cammino spirituale culminato nel volumetto Roveto ardente, la straordinaria confessione di fede di un uomo che l'aveva persa fino a sfilarsi il saio di francescano e che, grazie al contatto col papa polacco, poté ritrovarla.
Il percorso di Del Rio – come ricorda in un articolo la rivista “A Sua Immagine” (14 settembre) – inizia nel seminario di Piacenza, dove rimane fino al ginnasio, passando poi – dopo una interruzione di qualche anno – ai frati minori nella Provincia di Cristo Re dell'Emilia Romagna, una scelta dettata dalla sua ammirazione per padre Gemelli. Da frate si occupa, sulle testate della famiglia francescana, del Concilio e delle missioni.
Fu poi il cardinale Ersilio Tonini, di recente scomparso, ad aiutarlo ad ottenere la riduzione allo stato laicale, chiesto per sposare Janja Raguz, croata dell'Erzegovina, che Del Rio ha amato più di se stesso. Una volta uscito dall'Ordine, la prima prova da affrontare fu l'isolamento. Ebbe difficoltà ad andare avanti, ma riuscì a vincerlo e mai del tutto attraverso il successo professionale.
L'episodio più noto della sua carriera è legato a un'inchiesta molto critica sulla “novità” dei viaggi che stava caratterizzando il pontificato del primo papa non italiano eletto dopo cinque secoli. La Segreteria di Stato vaticana decise, allora, nel 1985 di escludere l'inviato di Repubblica dal volo papale per Venezuela, Ecuador, Perù e Trinidad e Tobago. Il gesto senza precedenti suscitò un putiferio. Ben 40 giornalisti di 20 Paesi firmano un documento di protesta in difesa della libertà di informazione.
“Si dice che in Inghilterra a tre anni di distanza dalla visita del papa – aveva scritto Del Rio senza citare la fonte – la Chiesa cattolica non abbia ancora finito di pagare i propri debiti. In Canada, in cui il giro di Wojtyla fu uno dei più grandiosi e dispendiosi, fu costituito un comitato di finanziatori e di coordinatori dei finanziamenti. La cinquantina di persone che ne faceva parte ebbe, come premio, un posto sull'aero che da Ottawa riportava il papa a Roma. Noto, d'altra parte, che quasi in ogni viaggio, almeno nei paesi ricchi, c'è sempre una raccolta di offerte, che vengono donate al papa affinché le usi per scopi di carità”. “I vescovi – diceva l'articolo – devono pensare anche al mantenimento e all'alloggio del personale laico (guardie svizzere, vigilanza vaticana) ed ecclesiastico, che è a seguito del pontefice. Per non dire dell'alloggio e dei pranzi del papa stesso”. A queste considerazioni aveva aggiunto pareri negativi sull'operato del papa polacco.
Il 16 ottobre 1991 in Brasile, Del Rio venne scelto per seguire da vicino il papa per un'intera giornata, una "tradizione" inaugurata dall'allora portavoce vaticano, Joaquín Navarro-Valls. In quell'occasione il vaticanista confessò: “Io avevo tanti dubbi e tanta difficoltà a credere. Mi è stata di aiuto la forza della sua fede”.
“L'episodio che impressionò Del Rio facendogli cambiare parere sul papa prima ancora che sui viaggi – racconta il vaticanista e scrittore Gianfranco Svidercoschi – accadde nel 1992 in Angola. In quel paese distrutto dalla guerra, sotto i nostri occhi, Karol Wojtyla si inchinò per entrare nella capanna di fango della famiglia poverissima di un catechista: per Del Rio fu il gesto dell'unico grande della terra capace di inchinarsi sulle ferite degli ultimi”.
Tre anni dopo la morte della moglie, un male incurabile ha ucciso anche l'inviato di Repubblica. Sul letto di morte Del Rio ha voluto affidare al collega Luigi Accattoli un saluto per il “suo” papa: “Vorrei fare sapere al papa che lo ringrazio, vedi tu se puoi farglielo sapere. Che lo ringrazio, con umiltà, per l'aiuto che mi ha dato a credere”.