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Quando la rete inganna: possiamo ancora credere a Wikipedia?

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Emanuele D'Onofrio - Aleteia Team - pubblicato il 24/10/13
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Un caso di truffa sulla free Encyclopedia più nota al mondo fa vacillare la nostra fiducia nella cultura su InternetLa cultura in forma digitale si è ormai imposta come la modalità più libera, gratuita, democratica e veloce di conoscenza. Vi ricorriamo ogni giorno quando abbiamo bisogno di informazioni rapide; vi ricorrono, spesso indebitamente, gli studenti delle università. Ma ora che la Wikimedia Foundation ha smascherato 250 contributori di informazioni collegati in qualche modo ad interessi commerciali e li ha cacciati da Wikipedia, ci scopriamo vulnerabili di fronte alle mistificazioni nascoste nella conoscenza che arriva da internet.

Per questo ci siamo rivolti a due esperti del mondo digitale, dei suoi rischi come delle sue difese: Massimo Melica, avvocato e docente di “Informatica Giuridica”, nonché autore di “Sotto un cielo di bit”; e Giampaolo Colletti, giornalista esperto di media digitali, nuove professioni e comunità sul web.

Quando cerchiamo informazioni in rete, ad esempio in una free encyclopedia, fino a che punto siamo esposti al rischio di imbatterci in operazioni di contraffazione e di interessi più o meno commerciali?

Massimo Melica: Il web è un meraviglioso strumento per la condivisione delle idee, tuttavia occorre distinguere la cultura dalla mera conoscenza delle informazioni. Il pericolo per chiunque, in particolare per gli studenti, è di ottenere da Internet parziali informazioni o peggio notizie strumentali per diffondere false ideologie.
 
Il sapere che si può acquisire in rete può essere alternativo ad un sapere acquisito con mezzi tradizionali (ricerche bibliografiche ecc.)? Come utilizzarlo, senza correre troppi rischi?

Massimo Melica: Il sapere si costruisce giorno per giorno, non ha importanza se lo si costruisca attraverso un libro, un ebook, un sito o un blog, l’importante è possedere la capacità di verificare l’attendibilità della fonte nonché la credibilità dell’autore. Su Internet conta molto la web reputation, tuttavia la stessa non basta per evitare di imbattersi in false conoscenze, in teorie complottistiche, in idee negazioniste tutte perfettamente veicolate sotto il profilo strategico nonché supportate da migliaia di seguaci e quindi da commenti positivi. Sviluppare la cultura digitale, quindi l’approccio responsabile e consapevole allo strumento tecnologico è l’unico modo per evitare di incorrere in cattivi maestri.

Organismi come la Wikimedia Foundation o comunque di controllo fino a che punto riescono a proteggere l’utente? Quali strumenti ha quest'ultimo, o quali comportamenti può assumere, per difendersi?

Massimo Melica: Wikimedia Foundation ha smascherato oltre 250 contributori accusati di essere finanziati da aziende, partiti, gruppi di interesse e pertanto il loro contributo su Wikipedia risulta viziato dalla non indipendenza di giudizio. Sotto il profilo tecnico averli bloccati non risolve il problema, il web nasce per non subire censure o blocchi. Questi anetici contributori si riproporranno con un’altra identità, legata ad un diverso Internet Protocol e continueranno ad agire indisturbati. In questo momento c’è da chiedersi se sia in crisi il modello gratuito di condivisione delle informazioni o il modello open delle stesse, in quanto l’assenza di responsabilità può depauperare la qualità della fonte. Un interrogativo che gli utenti del web risolveranno con la loro indipendenza. 

L’idea di una free Encyclopedia è solo un’illusione che finisce per coprire interessi economici, o anche in rete è possibile costruire un sapere “credibile” ed autorevole?

Giampaolo Colletti: Io credo che la rete oggi più che mai possa rappresentare un luogo dove c’è e si manifesta autenticità e fiducia reciproca. Di fatto le brand community che studio nascono da questo. Per questo io sono fiducioso e ottimista verso un progetto che ha riunito, come Wikimedia, milioni di contributi da migliaia di contributors da appassionati e a titolo gratuito. Certamente è anche fondatissimo il rischio che qualcuno possa usare in modo strumentale le informazioni per un vantaggio anche commerciale ed economico. Ma va sottolineata per questo la sanzione che il resto della community dà a chi abusa della fiducia. La forza della rete è proprio questa, una sanzione per chi non rispetta alle regole del gioco, e alla fine viene scoperto. Questo, in passato, in un ecosistema analogico non c’era, è stato portato da un ecosistema digitale.

Come si fa una corretta “ricerca” in rete, sia nel caso delle informazioni di cui ci serviamo quotidianamente, sia in quello di ricerche più approfondite, ad esempio di tipo bibliografico?

Giampaolo Colletti: La ricerca in rete è diventata ormai molto complessa. Non parliamo più di ricerca ma di aggregazione di notizie. Ora la figura che sta emergendo è quella del content curator, l’aggregatore di notizie. Ognuno di noi lo è, dallo studente a colui che magari vuole fare un viaggio o a colui che vuole acquistare un prodotto specifico. Il consiglio allora è quello di attivare più fonti, anche estere, anche in lingua, per riuscire ad avere delle informazioni più attendibili.

La rete sta cambiando il concetto antropologico di sapere o di conoscenza? Il nostro rapporto con la conoscenza si sta modificando, e come?

Giampaolo Colletti: Manca spesso una coerenza nelle informazioni che prendiamo dalla rete, poiché sono tutte frammentate. Questo fa sì che ci sia una soglia molto bassa di attenzione. Noi riusciamo ad essere attenti per pochi secondi e di fatto siamo costantemente digitalizzati, ma è una digitalizzazione davvero “stop and go”. Uno studio che ho riportato nel mio blog sul Fatto Quotidiano rivela che noi controlliamo smartphone e tablet 150 volte in una giornata lavorativa. Questo ti fa capire come sta cambiando a livello antropologico la nostra concezione di attenzione che ormai è davvero sincopata. Pensa che per ovviare a questo problema uno dei social media più utilizzati, Twitter, da pochi giorni consente di visualizzare le conversazioni all’interno della stessa timeline degli stessi tweet, un modo questo per ovviare a questa informazione così tanto interrotta e garantire una continuità narrativa della conversazione.