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Come aiutare chi non si identifica con il proprio sesso?

Chico con vestido – it

photomak/SHUTTERSTOC K

Patricia Navas - Aleteia Team - pubblicato il 22/10/13

Dopo aver scartato i disturbi biologici, gli esperti consigliano di agire sull'aspetto psicologico per aiutare a trovare l'armonia

Lo sviluppo armonico, che apporta e mantiene l'identità personale, permette che nella persona il sesso cerebrale e psicologico coincida con quello corporale, ma alcune persone si sentono del sesso opposto a quello del proprio corpo.

Non si tratta di malattie di stati intersessuali – con base organica –, ma fondamentalmente di una distorsione psicologica, di un problema di non conformità con il proprio sesso di una persona normale.

L'aiuto da fornire per risolvere un conflitto relativo alla propria identità sessuale deve essere olistico, prima scartando l'ipotesi di disturbi biologici e poi agendo sul piano psicologico.

In alcuni casi, tuttavia, si opta per la modifica del sesso genitale e dei caratteri sessuali secondari attraverso cure fisiche come interventi chirurgici e trattamenti ormonali. Spesso i pazienti che vi si sottopongono continuano ad essere insoddisfatti, o si sentono addirittura peggio.

Come aiutare le persone che non si identificano con il proprio sesso? Gli interventi chirurgici e i trattamenti a base ormonale sono la risposta più adeguata al loro problema?

La psicoterapia è meglio della chirurgia

Secondo ipotesi come quella dello psicanalista americano Robert Stoller, che ha studiato la struttura clinica propria del transessualismo, la transessualità è dovuta innanzitutto a un ambiente che non ha permesso la formazione di una personalità equilibrata.

Possono influire anche fattori fisiologici, come spiega la docente di biochimica Natalia López-Moratalla nell'articolo “L'identità sessuale: persone transessuali e con disturbi dello sviluppo gonadico”.

La terapeuta sessuale Lourdes Illán sostiene che questi disturbi devono essere trattati con la psicoterapia, che può aiutare a superare le “alterazioni che difendono l'idea transessualista”, tra cui i “sentimenti che hanno provocato la mancanza di identificazione psicosessuale con il proprio sesso, come in molte occasioni il disprezzo da parte del paziente del genitore dello stesso sesso e della condizione sessuale del suo sesso in generale, della sessualità propria del suo sesso…”.

Quanto alle operazioni definite di “cambiamento di sesso”, le persone che vi si sottopongono perdono la capacità di generare e di vivere un normale e completo atto sessuale.

Dall'altro lato, questi interventi chirurgici intervengono su parti del corpo sane, il che secondo la Illán “non è ammissibile da un punto di vista etico, introduce nuove dissonanze tra le varie componenti del sesso (tra il sesso genetico-gonadico, il sesso fenotipico e il sesso psichico) e peggiora la condizione psichica del soggetto”.

In questo senso, la Carta degli operatori sanitari del 1995 del Pontificio Consiglio per la Pastorale degli Agenti Sanitari ricorda che “la vita umana è insieme e irriducibilmente corporale e spirituale” e indica che “il sentire e il desiderare soggettivi non possono sovrastare e disattendere le determinazioni oggettive corporee”.

Il documento ecclesiale segnala anche che “l'operatore sanitario non può disattendere la verità corporea della persona e prestarsi a soddisfare desideri, sia soggettivamente espressi sia legalmente codificati, in contrasto con l'oggettiva verità della vita”.

Bambini transessuali?

Attualmente, però, l'ideologia di genere che separa l'identità sessuale e il genere convince molti del fatto che essere uomo o donna non è determinato fondamentalmente dal sesso, ma dalla cultura. Spesso predomina l'indifferenza sessuale.

Questo contesto influisce sulla costruzione da parte dei bambini dell'immagine ideale del proprio sesso, che dipende soprattutto dal comportamento degli adulti che li circondano e dal rapporto che hanno con loro, osserva la Illán.

Per questo, la terapeuta sottolinea la necessità di lavorare affinché i bambini e le bambine riescano a sentirsi bene nel proprio corpo e con tutte le caratteristiche che “segnano” la differenza sessuale a livello intellettuale, emotivo e psicologico. “Raggiungere questo presuppone il fatto di essere felice del mio 'essere donna' o del mio 'essere uomo'”, ha aggiunto.

In vari articoli pubblicati alcuni anni fa sui numeri 106, 107 e 108 della rivista Ciutat Nova, l'esperta identificava una serie di condotte che ci possono mettere in allarme su un possibile Disturbo di Identità Sessuale (DIS) nei bambini:

· L'intenso desiderio – o l'insistenza ripetuta – di appartenere all'altro sesso.

· L'interesse per il travestitismo e la tendenza a imitare atteggiamenti femminili.

· La marcata e ostinata preferenza per i ruoli dell'altro sesso nelle rappresentazioni teatrali.

· L'intenso desiderio di partecipare ai giochi e ai passatempi tipici dell'altro sesso.

· Una spiccata preferenza per compagni di giochi dell'altro sesso.

· In molti casi, possiamo osservare che a livello familiare si verifica quella che gli psicologi hanno chiamato Relazione Triadica Classica, che consisterebbe nella combinazione di un padre assente o che ha un cattivo rapporto con la madre e con il figlio, una madre iperprotettiva o che cerca compensazione alla mancanza di relazione con il padre basandosi in modo esagerato sul rapporto con il figlio maschio e un bambino molto sensibile ed emotivo.

Nelle bambine sottolinea:

· Frequentare amici maschi, preferenza per attività sportive e giochi maschili.

· Rifiutarsi di indossare indumenti femminili, come le gonne, voler portare i capelli corti.

· Nei casi più seri rifiutarsi di urinare sedute, stando sempre in piedi e con la fantasia che un giorno crescerà il pene.

· Nell'adolescenza apparirà un rifiuto dello sviluppo del seno e ovviamente delle mestruazioni.

L'esperta constata che, “come nel caso dei maschi gli atteggiamenti effeminati sono un elemento molto importante, che fa sì che si venga 'etichettati' e suscita il rifiuto da parte dei compagni maschi, non accade lo stesso con le ragazze definite 'maschiaccio', che non vivono il rifiuto così estremamente doloroso; in genere queste bambine arrivando all'adolescenza si femminilizzano e non soffrono né manifestano alcun problema”.

Di fronte a queste situazioni, la Illán propone vari passi, rivolti soprattutto a educatori infantili e del primo ciclo dell'istruzione primaria:

• Favorire il fatto che gli alunni realizzino un buon processo di identificazione psicosessuale.

• Non favorire né permettere che si diano etichette da parte nostra, dei familiari o di altri professori.

• Non umiliare e non punire mai un bambino o una bambina perché dimostra una condotta di questo tipo, ma neanche favorirla.

Quando un bambino ha in modo reiterato comportamenti tipici dell'altro sesso, è fondamentale rafforzare la sua condizione maschile o femminile (a seconda del caso). I commenti devono essere fatti senza ridicolizzare né far vergognare, distinguendo la condotta dalla persona. Il dottor Nicolosi suggerisce una frase, “Eh, tu che sei un ragazzo!”, detta con tono positivo, incoraggiando, come chi dice “Ti sto ricordando chi sei e ciò che sei è positivo”.

• Incoraggiare il bambino ogni volta che mostra una condotta in cui si identifica con “il modello ideale” del suo sesso.

• Favorire la formazione e informazione dei genitori perché non “lascino passare il tempo” senza agire, pensando che sia una cosa carina o semplicemente che il proprio bambino o bambina “è così” e “bisogna accettarlo com'è”. È ovvio che bisogna accettare i figli per come sono… ma a volte questa “accettazione” si avvicina più a un atteggiamento di rassegnazione passiva che a uno di aiuto e amore per quel bambino. Ciò accade spesso per mancanza di conoscenze e per l'influenza dell'ideologia di genere che ci pervade sia a livello sociale che culturale.

• Nei casi più estremi, consigliare la ricerca dell'aiuto di un professionista, che abbia una visione integrale della sessualità.

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