Naturalmente, il doveroso rimando alle responsabilità europee non esime il nostro Paese dal fare la sua parte: non basteranno dichiarazioni o gesti retorici. Occorre coniugare la disciplina dell’accoglienza al rispetto della dignità di chi viene a noi per fuggire dalla violenza e dalla fame. Un accogliere senza regole è parimenti sbagliato che un atteggiamento di incivile rigetto o di semplice difesa, che faccia tout court del clandestino un criminale. E finalmente, è ogni organismo intermedio che sia coinvolto a dover offrire il meglio di sé, educando anzitutto i cittadini a una cultura capace di vedere nell’altro il fratello in umanità, che tanto somiglia ai nostri antenati immigrati in giro per il mondo, cui è stata data la possibilità di costruirsi una nuova vita, pur con tanti sacrifici. In questa direzione, mi sembra che non pochi segnali positivi vengano dall’azione della Chiesa e delle sue Caritas, quella nazionale e quelle diocesane.
Infine, nel grido di Francesco va colto un invito a porci davanti a un giudizio che ci trascende: la vergogna si prova davanti a qualcuno, e questi nella visione del Papa è anzitutto la vittima delle colpe personali e collettive, è poi in particolare ciascuno dei nostri ragazzi e giovani, cui stiamo dando un pessimo esempio di come vivere la solidarietà e l’accoglienza fra gli uomini, ma è anche e certamente il Dio della vita e della storia, misura ultima del giudizio sui nostri comportamenti, Padre universale di fronte a cui riconoscerci famiglia umana, solidale e corresponsabile per vocazione. Per chi crede, il giudizio divino non è solo un orizzonte lontano, ma un’imminenza che sovrasta e che raggiunge gli abissi del cuore.
Anche chi non crede, però, ha la voce della coscienza da ascoltare, lì dove sono inscritte le verità espresse dalle parole del Decalogo destinate a tutto l’uomo, a ogni uomo. Chiamare in causa la coscienza e il giudizio di Dio non è dunque operazione di parte, ma scelta che aiuta tutti a trovare ragioni che motivino all’impegno per l’altro, soprattutto se povero o indifeso, nella maniera più radicale e ineludibile. Allora ciascuno potrà sentire rivolte a sé le parole di Colui che si è fatto esule e pellegrino per amore di tutti: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (Mt 25,34-37). Diversamente, a fallire sarà la nostra umanità e la qualità stessa del futuro di tutti.