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Legge 40 e diagnosi preimpianto: “il giudice non può sostituirsi al legislatore”

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Aleteia Team - pubblicato il 27/09/13
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“Scienza e Vita” commenta l’ordinanza del Tribunale di Roma che permette la diagnosi preimpianto a spese del Servizio sanitario nazionale
Il Tribunale di Roma ha dato il via libera alla diagnosi preimpianto a spese del Servizio sanitario nazionale per una coppia di portatori sani di fibrosi cistica che intende fare ricorso alla fecondazione assistita.

Il caso riguarda una coppia romana, Rosetta Costa e Walter Pavan, che ha già un figlio affetto da fibrosi cistica e che nel desiderio di concepire un figlio immune dalla patologia, ha deciso di ricorrere alla fecondazione artificiale previa diagnosi preimpianto. La Legge 40 però prevede il ricorso alla procreazione medicalmente assistita solo per le coppie sterili e proibisce la diagnosi genetica preimpianto sugli embrioni prodotti. La coppia ha quindi fatto ricorso alla Corte di Strasburgo nell’ottobre 2010.

Con la sentenza del 28 agosto 2012, secondo quanto si legge su “Avvenire” (26 settembre), la Corte Europea ha quindi dato ragione ai due coniugi, rilevando «l’incoerenza del sistema legislativo italiano» che «da una parte priva i richiedenti dell’accesso alla diagnosi genetica preimpianto» e «d’altra parte li autorizza a una interruzione di gravidanza se il feto risulta afflitto da quella stessa patologia». Concludendo quindi che «l’ingerenza nel diritto dei richiedenti al rispetto della loro vita privata e familiare è quindi sproporzionata».

Il giudice Donatella Galterio, della prima sezione civile del Tribunale di Roma, accogliendo il loro ricorso d’urgenza ha stabilito «il diritto dei signori Rosetta Costa e Walter Pavan a sottoporsi al procedimento di procreazione medicalmente assistita con trasferimento in utero della signora Costa, previo esame clinico e diagnostico degli embrioni creati tramite fecondazione in vitro, solo degli embrioni sani o portatori sani rispetto alla patologia da cui sono affette le parti mediante le metodologie previste dalla scienza medica e con crioconservazione degli embrioni malati sino all’esito della tutela di merito». Da qui l’ordine «all’Asl Rm A, o direttamente o avvalendosi di altre strutture specializzate, ad eseguire i suddetti trattamenti».


A questo proposito, Paola Ricci Sindoni, presidente nazionale dell’Associazione Scienza & Vita, ha commentato: “Si è di fronte, ancora una volta, ad una indebita intromissione della magistratura volta a delegittimare una legge, con il suo dettato etico, votata da una maggioranza trasversale e confermata da un referendum popolare”.


“La diagnosi preimpianto è un’indagine invasiva sull’embrione il cui scopo non è quello di curare una vita nascente, ma quello di selezionare i sani, scartando gli embrioni ritenuti ‘malati’ – ha aggiunto la presidente di Scienza & Vita -. La legge 40 garantisce il diritto alla vita del concepito, diritto che trova fondamento già nella Costituzione e che non può essere bypassato da una singola decisione”. 


“Esprimiamo la massima solidarietà e vicinanza verso i portatori di malattie genetiche, ma il desiderio dei genitori di un ‘diritto ad avere un figlio sano’, non può esprimere la volontà di decidere la non esistenza di vite che ‘non vale la pena di far vivere’. Un figlio non è un prodotto. Sentenze come questa aumentano la confusione nella società civile ed evidenziano il progressivo riduzionismo antropologico verso forme di vita nascente programmate tecnologicamente”.