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Usa: le tre bugie che hanno costruito una Rivoluzione

Matthew Shepard – it

n.d.

MercatorNet - pubblicato il 26/09/13

La leggenda vuole che Matthew Shepard sia stato martirizzato da un gruppo di zoticoni omofobi. Un nuovo, incredibile libro, scritto da un giornalista gay sfata questo mito

di Michael Cook

Questa settimana si è scoperto che la rivoluzione sessuale in America è stata costruita su delle menzogne. Tre dei casi che hanno trasformato il sistema legale e alterato l’ecosistema morale sono basati su fatti falsi: Roe contro Wade, che è stata la pietra miliare per il diritto all’aborto; Lawrence contro Texas, che ha depenalizzato la sodomia, portando inesorabilmente al matrimonio tra persone dello stesso sesso e, infine, l’omicidio di Matthew Shepard, che ha trasformato la disapprovazione per gli atti omosessuali in vera e propria odiosa omofobia.

Così è stato sottolineato dal giornalista gay Stephen Jimenez con la pubblicazione del suo libro “The Book of Matt: Hidden Truths About the Murder of Matthew Shepard" (Il Libro di Matt: Verità nascoste sull’omicidio di Matthew Shepard).

La morte di Shephard, studente gay di 21 anni presso l’Università del Wyoming a Laramie, è divenuta simbolo dell’omofobia americana, e la definizione per eccellenza del movimento di bullismo anti-gay. Nell’ottobre del 1998, il giovane accetta un passaggio da due uomini del posto, Aaron McKinney e Russell Henderson. I due lo portano in un campo, dove il ragazzo viene derubato, picchiato con il calcio della pistola, legato a una staccionata e abbandonato a morire.  Questo terribile incidente è divenuto il più famoso crimine perpetrato nei confronti di un gay nella storia americana. Shepard divenne un martire: un’anima gentile, assassinata solo perché gay. La reazione fu di proporzioni inimmaginabili.

Nel 2009, il presidente Obama firmò lo "Hate Crimes Prevention Act" (legge contro gli atti criminali d’odio), una legge federale contro i crimini d’odio nei confronti dei gay, che prese il nome da Mattew Shepard. Elton John e Lady Gaga hanno scritto e cantato canzoni in sua memoria. Uno spettacolo teatrale, “The Laramie Project”, è stato rappresentato più di 2000 volte in tutto il mondo.
Il primo giocatore di basket dell’NBA dichiaratamente gay, Jason Collins, indossò il numero 98 in onore di Shepard durante tutta la stagione 2012-2013. Una fondazione perpetua la sua memoria “per sostituire l’odio con la comprensione, la compassione e l’accettazione”.

Ma nel libro pubblicato questa settimana, Jimenez sfata questa agiografia. Dopo aver intervistato più di un centinaio di persone, inclusi gli assassini, Jimenez ha concluso che l’assassinio ebbe ben poco a che fare con la sessualità di Shepard, e molto più a che fare con la droga. Il crimine d’odio più vituperato d’America, dopo tutto, non è stato un crimine d’odio.

Si è scoperto che Shepard faceva regolare uso e spaccio di metanfetamina, che McKinney era sotto l’effetto prolungato di droga e che, McKinney stesso e probabilmente anche Henderson, si dilettassero in pratiche sessuali gay, che McKinney era stato a un party con Shepard e che aveva addirittura fatto sesso con lui. Si tratta di una storia squallida, piena di violenza straziante. Ma non è la storia di due zoticoni omofobi che torturano e uccidono un povero, gentile e raffinato attivista gay.

Aaron Hicklin chiede, attraverso le pagine di The Advocate, il principale giornale americano gay, “il nostro bisogno di rendere Shepard un simbolo, ci ha forse resi ciechi nei confronti di una storia sconclusionata e complessa che è più oscura e preoccupante di come sia esposta dalla scontata narrativa?”. Eppure, la glorificazione di Matthew Shepard è solo l’ultimo capitolo di una mitologia di risentimento e oppressione sessuale.

Ne 2003 la Corte Suprema degli Stati Uniti annullò una legge del Texas che criminalizzava la sodomia. Questo rese l’omosessualità legale in tutta America. E come osservò il giudice Scalia, esprimendo il suo dissenso per il caso Lawrence contro Texas, aprì anche le porte a una ridefinizione del matrimonio: “L’opinione di oggi smantella la struttura del diritto costituzionale che ha permesso una distinzione tra unioni eterosessuali e omosessuali, per quanto concerne il riconoscimento formale del matrimonio”.

Ma il caso è stato costruito sulle menzogne degli attivisti. Nel 1998, la polizia ricevette la segnalazione che un “uomo di colore stava facendo il matto con una pistola in mano” in un sobborgo in periferia di Houston. Quattro ufficiali fecero irruzione in un appartamento, dove trovarono il 55enne John Lawrence, bianco, e un 31enne di colore di nome Tyron Garner. La serata si concluse quando gli uomini, entrambi chiaramente gay, vennero accusati di “sesso deviato” e trattenuti per la notte in prigione, prima di essere rilasciati.

Gli attivisti gay vennero a sapere dell’incidente e portarono il caso alla Corte Suprema. Il resto è storia. L’anno scorso, nel suo libro “Flagrant Conduct”, Dale Carpenter, professore di legge gay presso l’Università del Minnesota, rivelò che il racconto dei fatti era falso. Sia la polizia che entrambi Lawrence e Garner avevano mentito, ognuno per motivi differenti. La polizia arrestò gli uomini perché litigiosi e palesemente gay.

Ma i due uomini non stavano facendo sesso. Sul momento si dichiararono “non colpevoli”. Solo quando gli attivisti iniziarono a sottolineare che si trattava di un caso ideale per la loro causa, la loro dichiarazione cambiò in “nolo contendere”. “Fin dall’inizio”, dice il loro avvocato, “non avevamo intenzione di complicare il caso trattando i fatti per come si erano svolti. Ci dicemmo…qualsiasi cosa dirà la polizia, noi non la contesteremo”. Carpenter sostiene: “Lawrence portò avanti il caso, perché nessuno voleva sapere quali fossero i fatti reali”.

E poi c’è la nota tragedia di Roe contro Wade. Il vero nome di Jane Roe è Norma McCorvey. Divenne in seguito un’attivista pro-life e cattolica. Nel 1969 era una travagliata ventunenne, che aveva scoperto di essere incinta per la terza volta. Non sapeva neanche cosa fosse l’aborto, ma incontrò degli avvocati che avevano intenzione di mettere alla prova le leggi del Texas.  

Questa è la storia che la donna ha raccontato spesso:  “L’affidavit presentato alla Corte Suprema non avvenne come io raccontai. Molto semplicemente, mentii. Sara Weddington e Linda Coffey (i suoi avvocati) avevano bisogno di un caso estremo, per mettere in una luce ancora più pietosa la loro cliente. Lo stupro sembrò essere la soluzione ideale. Che cosa avrebbe potuto rendere lo stupro ancora peggiore? Uno stupro di gruppo! Iniziò tutto con una piccola bugia, che crebbe sempre di più, diventando sempre più orribile, ogni volta che la ripetevo. Non solo mentii, ma mi fu anche mentito. Non arrivai alla Corte Suprema per conto di una categoria di donne. Non stavo cercando un rimedio legale alla mia gravidanza indesiderata. Non andai alla Corte Federale per ottenere sollievo.  Contattai Sarah Weddington per scoprire come ottenere un aborto. Lei e Linda Coffey dissero che non sapevano dove avrei potuto ottenerne uno. Sarah aveva già alle spalle un aborto, ma mi mentì, così come io mentii a lei. Era ovvio che sapesse dove ottenerne uno, ma non le sarei stata utile, se non fossi stata incinta. Sarah e Linda stavano cercando qualcuno, chiunque, da utilizzare per promuovere la loro propaganda. Io fui la loro vittima più volenterosa”.

“Ben poche cose accadono al momento giusto, e il resto non accade affatto”, scrisse Mark Twain, “lo storico coscienzioso correggerà questi difetti”.
Ed è esattamente ci&ogra
ve; che hanno fatto gli attivisti gay e per i diritti all’aborto. Hanno redatto copioni carichi di pathos e di ingiustizie e hanno poi cercato attori di talento per interpretare le parti. Fatti convenienti sono stati sottolineati…quelli meno convenienti, nascosti.

Questo fa la differenza? Anche se i fatti erano stati distorti, le Corti e le opinioni pubbliche avevano già tratto una conclusione. Prima o poi sarebbe emerso un caso i cui fatti si adattassero perfettamente all’ideologia. Ma sì, fa la differenza. Solo una causa che non è sicura della propria giustizia ha bisogno di mentire per dimostrare il proprio punto. Come principale giornalista gay negli Stati Uniti, Andrew Sullivan commenta così il “Libro di Matt”: “Nessuno dovrebbe avere paura della verità. Meno di tutti i gay… Non dovremmo forse comprendere meglio come e perché?”.

E peggio ancora, distorcere e riorganizzare i fatti rende più probabile l’omissione di aspetti che non sarebbero consoni al mito. Forse è per questo che “The Laramie Project” sta per debuttare presso il Ford Theatre a Washington DC, questo mese, mentre l’omicidio risalente al 2002 di Mary Stachowicz, una casalinga che è stata picchiata, accoltellata, strangolata e uccisa dal suo collega gay, perché aveva osato mettere in discussione il suo stile di vita, è stato dimenticato. Lei non trova posto nel mito dell’oppressione gay.

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