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Come la religione di Gesù ha cambiato la storia

Come Gesù ha cambiato la storia

@Lindau

Osservatorio Cardinale Van Thuân - pubblicato il 25/09/13

"Il trionfo del Cristianesimo", l'ultimo monumentale volume del sociologo statunitense Rodney Stark

di Omar Ebrahime

Nonostante la sempre maggiore diffusione degli studi di autori fondamentali in materia come Christopher Dawson, il rapporto storico tra il Cristianesimo e il progresso – comunemente inteso – continua ad essere considerato un tema dibattuto e controverso. Per molti, compresi non pochi studiosi accademici, semplicemente, le due cose a lungo termine sarebbero incompatibili: anzi la vicenda storica dell’umanità dimostrerebbe proprio che la fede ha sempre ostacolato il sano progresso. Come si ricorderà, era proprio questa la motivazione con cui alla fine sessanta professori dell’Università “La Sapienza” di Roma motivarono la loro opposizione all’ingresso di Papa Benedetto XVI nell’ateneo (peraltro fondato da un predecesore, Bonifacio VIII). Il Papa, si diceva, e si ripete ancora oggi, è – in quanto tale, per il solo fatto cioè di essere esponente di un credo religioso – una persona che non può partecipare ad un libero dibattito delle idee dal momento che la religione implica un approccio ‘dogmatico’ e ‘intollerante’ alle questioni scientifiche e culturali. A questo, e a molto altro ancora, risponde ora l’ultimo monumentale volume del sociologo statunitense Rodney Stark, docente di scienze sociali presso la Baylor University, in Texas. Stark, sulle cui ricerche l’Osservatorio si era già soffermato in passato (vedi in particolare qui http://www.vanthuanobservatory.org/nostri-libri/libro.php?lang=it&id=153 e qui http://www.vanthuanobservatory.org/nostri-libri/libro.php?lang=it&id=208 ) ha infatti il pregio di condurre delle analisi sul fenomeno religioso coniugando gli strumenti della moderna analisi sociologica con la più antica ricerca storica senza l’ansia di dover rincorrere a priori alcuna tesi partigiana.

Il fatto che personalmente non sia cattolico aumenta poi ancor di più il valore delle numerose valutazioni di merito che dedica alla storia della Chiesa, continuamente assediata da luoghi comuni e leggende nere infamanti senza che alcuno si prenda mai la briga di confutarli. L’opera, suddivisa in sei capitoli, abbraccia un periodo di tempo molto esteso che va dalla fondazione della Chiesa primitiva, e le prime missioni dell’apostolo San Paolo, all’alba di quell’Illuminismo che segna l’inizio di un’epoca nuova – fondamentalmente di scissione – nel rapporto armonico tra fede e ragione che aveva caratterizzato invece fino ad allora la storia dell’Occidente.

Nel dipanare i numerosi nodi critici intessuti da una storiografia spesso pregiudizialmente ostile al fatto religioso, l’autore dedica molte pagine all’interpretazione del Cristianesimo come ‘religione dei poveri e degli oppressi‘ che per secoli ha goduto di largo successo. Non a caso, Friedrich Engels, il redattore – con Karl Marx – del famoso Manifesto del partito comunista, pubblicato a Londra nel 1848  poteva scrivere righe come queste senza che nessuno lo contestasse: “«La storia del primo Cristianesimo ha notevoli punti di somiglianza con il movimento della classe operaia moderna. Come quest’ultima, il Cristianesimo era in origine un movimento di persone oppresse: apparve dapprima come religione di schiavi e di schiavi emancipati, di persone povere private di ogni diritto, di persone sottomesse o disperse dai dominatori romani».

Muovendo da questo assunto, Karl Kautsky (1854-1938), l’editore tedesco delle opere di Marx, ha sostenuto la tesi che Gesù potrebbe essere stato uno dei primi socialisti e che i primi cristiani realizzarono per breve tempo il vero comunismo” (pag. 117). Né si trattava di una tesi sposata solo da politici o ideologi faziosi, un’autorità riconosciuta della sociologia della religione del secolo scorso come ad esempio il tedesco Ernst Troeltsch (1865-1923), mostrava di condividerla in pieno. In realtà le fonti più vicine ai fatti raccontano il contrario: il maggior numero di seguaci nel Cristianesimo primitivo era costituito da “donne delle classi alte” (pag. 120) e gli studi di Adolf von Harnack (1851-1930) e William M. Ramsay (1851-1939) aggiungono che “si è diffuso dapprima fra le persone istruite…[Inoltre] da nessuna parte esso è riuscito a fare presa più tenacemente di quanto ha fatto fra i nobili e alla corte dell’imperatore” (ibidem). Certamente è poi vero che il Cristianesimo era attraente anche per le classi più povere, ma non nel senso in cui lo si voleva restringere. In effetti, se “il punto centrale è che la fede cristiana offre un sedativo per le sofferenze di questa vita promettendo che saremo pienamente ricompensati nella prossima, quando «molti dei primi saranno ultimi e molti degli ultimi saranno primi» (Mt 19,30)” tuttavia resta ugualmente vero che “il Cristianesimo rende la vita migliore qui e ora. Non solo in termini psicologici, come può fare qualunque fede in un’attraente vita dopo la morte, ma in termini di concreti benefici mondani. Si consideri che uno studio basato su antiche lapidi tombali ha stabilito che i primi cristiani vivevano più a lungo dei loro contemporanei pagani! Ciò dimostra che i cristiani ebbero una migliore qualità di vita” (pag. 141). Il motivo va ricercato nelle opere di misericordia e mutuo soccorso che la comunità cristiana seppe diffondere per tutto l’impero: “in mezzo allo squallore, alla miseria, alla malattia e all’anonimato delle antiche città, il Cristianesimo creò un’isola di misericordia e sicurezza […] invece, nel mondo pagano, e soprattutto fra i filosofi, la misericordia era considerata un difetto del carattere e la pietà un’emozione patologica: siccome la misericordia include il dono di un aiuto o di un sollievo immeritato, essa è considerata contraria alla giustizia” (pag. 150).

Il risultato fu che, come hanno peraltro già rilevato storici insospettabili, “i cristiani gestivano uno stato sociale in miniatura all’interno di un impero che in gran parte era privo di servizi sociali” (pag. 151). Ma questo fu possibile solo perchè “il Cristanesimo creò le congregazioni, vere e proprie comunità di credenti che organizzavano la loro vita intorno alla loro affiliazione religiosa” (pag. 152). Detto in parole povere e per quanto politicamente scorretto possa apparire oggi: il mondo antico progredì nella misura in cui lasciò diffondere pubblicamente il Cristianesimo, da Oriente a Occidente. Davvero allora avere più religione volle dire, molto pragmaticamente, più progresso e benessere, in senso lato. Con il che si dimostra – se ancora ve ne fosse bisogno – che il modo di concepire Dio non è estraneo allo sviluppo di una civiltà. Se i malati, anziani o incurabili, ad esempio, iniziarono a vedersi riconosciuta la loro dignità questo lo si deve primcipalmente ai cristiani che portando il Vangelo in quella società fatalista decretarono finalmente la scomparsa di un paganesimo dominante disumano e cinico. Insomma, per citare qualche dato, “è del tutto plausibile che le cure offerte dai cristiani possano aver ridotto la mortalità di almeno due terzi!” (pag. 157), un numero assolutamente clamoroso se si considera che la sanità pubblica come la intendiamo noi oggi era ancora molto al di là da venire.

Analoghe erano le motivazioni che attraevano le donne, pure considerate socialmente prive di valore. In effetti, “le donne erano specialmente attirate dal Cristianesimo perché questo offriva loro una vita enormemente superiore a quella che avre
bbero altrimenti condotto […] in nessun gruppo sociale le donne erano uguali agli uomini, ma c’erano differenze sostanziali nel grado di disuguaglianza subita dalle donne nel mondo greco-romano. Le donne delle prime comunità cristiane stavano molto meglio delle loro controparti pagane ed ebree” (pag. 162), anche perchè i cristiani ripudiavano l’idea di abortire, o lascar morire una neonata, solo perchè femmina. Semmai, quando si confrontano “le circostanze in cui vivevano le donne pagane e quelle cristiane, ci si stupisce del fatto che non tutte le donne dell’Impero romano si siano precipitate in chiesa” (pag. 10). Con il che cade un altro dei luoghi-comuni riesumati ancora oggi nella polemica pubblica. D’altronde, a essere intellettualmente onesti, è noto che fin dai primi tempi le donne costituivano “la maggioranza” della comunità cristiana (pag. 161) al punto che per l’autore non sarebbe affatto fuorviante arrivare a sostenere che “l’ascesa del Cristianesimo fu opera delle donne” (pag. 180).

Ma le pagine più interessanti, e oggi dimenticate, sono quelle dedicate ai cosiddetti ‘Secoli Bui‘ tanto denigrati, il tempo in cui “in realtà l’Europa  fece il grande balzo in avanti, sul piano teologico e intellettuale, che la mise alla guida del resto del mondo [con] varie rivoluzioni nell’agricoltura, negli armamenti e nelle tecniche di guerra, nelle fonti di energia e nei trasporti, nelle manifatture e nel commercio [che] sono passate inosservate” (pag 316) per non parlare dell’abolizione epocale della schiavitù o dei progressi “radicali” nella musica, nell’arte, nella letteratura, nell’educazione (con la fondazione delle prime università, letteralmente ‘inventate’ dalla filosofia scolastica) e nella scienza, tutte da leggere. Insomma, per amore di verità storica, non per polemica, occorre ribadire una volta per tutte che “la tesi che l’Europa era caduta nei secoli bui è stata in buona parte una truffa perpetrata da intellettuali fortemente antireligiosi come Voltaire e Gibbon, che erano intenzionati ad affermare che la loro era un’epoca di ‘Illuminismo’” (pag. 315). Se poi, però, qualcuno ancora non demordesse, sarà bene rispondere con l’autorità del professor Walter Hollister (1930-1997), insigne medievista: “A mio giudizio, chiunque creda che l’epoca che vide la costruzione della Cattedrale di Chartres e l’invenzione del parlamento e dell’università sia stata ‘buia’ deve essere mentalmente ritardato, o nel migliore dei casi, molto, molto ignorante” (pag. 328).

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