La “Vocazione di san Matteo”, custodita presso la chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma, presenta la redenzione dall’avarizia
Nella intervista recentemente pubblicata, in cui papa Francesco si racconta al direttore di “Civiltà Cattolica”, padre Antonio Spadaro, il Santo Padre ha espresso, tra le altre cose, il suo amore per l’arte, e in particolare per Caravaggio: «In pittura ammiro Caravaggio: le sue tele mi parlano».
Quanto le tele di Caravaggio parlino a papa Francesco è rintracciabile nella medesima intervista, in cui spiega come egli si riconosca nella Vocazione di SanMatteo dipinta da Caravaggio. E’ anche molto interessante ricostruire la geografia romana del card. Bergoglio che dalla casa Internazionale del Clero a via della Scrofa, dove ha sovente alloggiato, avrà spesso camminato fino alla vicinissima San Luigi dei Francesi, e si sarà soffermato a pregare proprio nella Cappella Contarelli. Ecco le sue parole, che stimolano a guardare ancora e ancora più profondamente Caravaggio: «Sì, posso forse dire che sono un po’ furbo, so muovermi, ma è vero che sono anche un po’ ingenuo. Sì, ma la sintesi migliore, quella che mi viene più da dentro e che sento più vera, è proprio questa: “sono un peccatore al quale il Signore ha guardato”». E ripete: «io sono uno che è guardato dal Signore. Il mio motto Miserando atque eligendo l’ho sentito sempre come molto vero per me». Il motto di papa Francesco è tratto dalle Omelie di san Beda il Venerabile, il quale, commentando l’episodio evangelico della vocazione di san Matteo, scrive: «Vide Gesù un pubblicano e, siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: Seguimi». E aggiunge: «il gerundio latino miserando mi sembra intraducibile sia in italiano sia in spagnolo. A me piace tradurlo con un altro gerundio che non esiste: misericordiando».
Papa Francesco continua nella sua riflessione e dice: “«Io non conosco Roma. Conosco poche cose. Tra queste Santa Maria Maggiore: ci andavo sempre». Rido e gli dico: «lo abbiamo capito tutti molto bene, Santo Padre!». «Ecco, sì – prosegue il papa -, conosco Santa Maria Maggiore, San Pietro… ma venendo a Roma ho sempre abitato in via della Scrofa. Da lì visitavo spesso la chiesa di San Luigi dei Francesi, e lì andavo a contemplare il quadro della vocazione di san Matteo di Caravaggio». Comincio a intuire cosa il Papa vuole dirmi. «Quel dito di Gesù così… verso Matteo. Così sono io. Così mi sento. Come Matteo». E qui il papa si fa deciso, come se avesse colto l’immagine di sé che andava cercando: «È il gesto di Matteo che mi colpisce: afferra i suoi soldi, come a dire: “no, non me! No, questi soldi sono miei!”. Ecco, questo sono io: “un peccatore al quale il Signore ha rivolto i suoi occhi”. E questo è quel che ho detto quando mi hanno chiesto se accettavo la mia elezione a Pontefice». Quindi sussurra: «Peccator sum, sed super misericordia et infinita patientia Domini nostri Jesu Christi confisus et in spiritu penitentiae accepto»” (Antonio Spadaro e Papa Francesco, La Civiltà Cattolica).
Soffermiamoci dunque ancora sul meraviglioso ciclo dipinto da Caravaggio1. Il ciclo di san Matteo viene dipinto da Caravaggio per la chiesa di San Luigi dei Francesi tra il 1599 e il 1602. Esso, innanzitutto, costituisce per Caravaggio la prima commissione pubblica, inoltre è un vero e proprio ciclo, articolato in tre tele distinte ma legate da un’unica concezione e da un unico linguaggio. Insomma è per Caravaggio l’occasione – non mancata – di mettere in mostra tutte le sue abilità.
L’unitarietà del ciclo dedicato a san Matteo può essere rintracciata in livelli diversi: essa è innanzitutto nella narrazione, nella "fabula" delle tele; più profondamente è poi presente nei significati morali che ne animano il programma iconologico; essa infine si articola nel modo con cui Caravaggio utilizza le fonti letterarie e pittoriche. Infatti il contributo specificatamente artistico più rilevante dell’opera caravaggesca in questione consiste nella capacità di lavorare con i segni — nomi, immagini, rappresentazioni — utilizzandoli efficacemente non solo come semplici informazioni, ma come mezzi espressivi. In particolare si può documentare l’uso di fonti quali la
Legenda aurea di Jacopo da Varazze, i Vangeli, innanzitutto lo stesso Vangelo di san Matteo, e i relativi commenti2; ma soprattutto occorre evidenziare il riferimento alla michelangiolesca Creazione dell’uomo della Cappella sistina, che viene utilizzata come modello di un linguaggio da cui trarre "parole" per costruire discorsi nuovi. Tale operazione consiste in un parlare lo stesso linguaggio facendolo proprio, in un dire di più partendo dal già detto: un vero e proprio ridare significato.
Il Christiansen ha evidenziato «l’aspetto classico dell’arte rivoluzionaria di Caravaggio»3. Ebbene, proprio nell’«aspetto classico» risiede il contributo originale di Caravaggio. Il riferimento all’arte passata potrebbe sembrare contraddittorio con il carattere rivoluzionario dell’arte caravaggesca, e certo a prima vista appare in contrasto con le critiche che Caravaggio stesso rivolse al Cavalier d’Arpino e a ogni manierismo. In realtà è proprio il modo con cui Caravaggio usa Michelangelo a testimoniare un atteggiamento rivoluzionario. Egli non dimostra alcuna sudditanza, anzi parla con il Buonarroti da pari a pari: da Michelangelo a Michelangelo. Questa poetica costituisce la vera unitarietà del ciclo della cappella Contarelli, che in tre tele racconta i momenti salienti della vita di san Matteo: la vocazione, la scrittura del Vangelo, il martirio. Nella tela posta a destra Caravaggio trascrive pittoricamente il testo evangelico della vocazione e della conversione; quest’ultima è presentata nei tre sinottici con una medesima espressione: «Et surgens secutus est Eum» (Lc 5,27; Mc 2.14; Mt 9,9). Ma alla narrazione evangelica Caravaggio offre un elemento ulteriore, ovvero una riflessione pittorica sul nome di san Matteo. Jacopo da Varazze, nel capitolo CXL della Legenda aurea, si sofferma sui significati dei due nomi dell’evangelista: Levi e appunto Matteo. Mentre nell’analisi di "Levi" ritroviamo gli elementi della narrazione evangelica4, nei possibili significati di "Matteo" sono presenti sottolineature ulteriori: «Matteo si traduce "dono della rapidità" oppure "datore di consiglio"; oppure il nome di Matteo viene da magnus, "grande", e theos, cioè "Dio", per significare "grande di fronte a Dio", oppure anche da "mano" e theos, come per dire "mano di Dio»5. L’attenzione di Caravaggio è centrata su san Matteo "mano di Dio", quella dei suoi committenti probabilmente sul dono della "rapidità". Quest’ultimo elemento consente infatti di sottolineare il probabile intento di celebrazione della rapida conversione di re Enrico IV di Francia da ugonotto a cattolico, e il conseguente perdono concessogli da papa Clemente VIII nel 1595. Calvesi nota come l’editto di Nantes promulgato da re Enrico IV nel 1598 sia legato alla storia della commissione caravaggesca: «È proprio nel 1599, infatti, che il Caravaggio riceve la commissione per San L
uigi, chiesa della nazione francese, sciogliendosi così una vicenda che aveva tenuto ferma per anni la decorazione della cappella Contarelli»6.
L’elemento più interessante, quello che diviene centrale nell’opera di Caravaggio, è san Matteo “mano di Dio”7. Nella tela in analisi, infatti, la vocazione e la conversione sono veicolate pittoricamente dalla mano di Cristo che indica san Matteo e dalla mano di san Matteo che indica se stesso: nelle mani, dunque, sono espresse sia la chiamata che la risposta. Sembra quasi che Caravaggio abbia voluto tematizzare, più che la chiamata, la risposta alla chiamata, con una sorta di sottolineatura della libertà della risposta: uno degli elementi fondamentali del programma dell’intero ciclo è infatti il libero arbitrio, o ancor meglio il rapporto tra libertà e grazia. La mano di Cristo, inoltre, riproduce la mano di Adamo della Cappella Sistina, come Calvesi ha già sottolineato
8. Il segno michelangiolesco è dunque assunto in un contesto nuovo, dai significati teologici molteplici: si tratta forse di una sottolineatura della biblica immagine e somiglianza tra Dio creatore e uomo creato? Oppure è un riferimento alla natura umana di Cristo? Oppure ancora, un rimando tra la mano che crea e la mano che redime? O, risolutivamente, una letterale indicazione che Cristo è nuovo Adamo? Pittoricamente è un esempio di quel riutilizzo, dei segni e di quell’aggiungere significato che è l’ispirazione unitaria del ciclo e che nella tela del Martirio ha la più chiara esemplificazione. La tela centrale – che nella seconda versione è l’ultima a essere dipinta – rappresenta la scrittura del Vangelo: san Matteo è «mano di Dio per aver scritto il Vangelo»9. Il tema della scrittura del Vangelo, meglio noto come San Matteo e l’angelo, è stato realizzato da Caravaggio in due tele distinte; in entrambe ricorre l’immagine dell’angelo che, secondo un’iconografia consolidata, è l’attributo di questo evangelista.
La prima versione – rifiutata dalla committenza e peraltro andata distrutta durante la seconda guerra mondiale – rappresentava l’atto della scrittura mediante una vicinanza fisica strettissima tra il vecchio san Matteo e l’angelo che ne guidava letteralmente la mano analfabeta. Il rifiuto di questa opera è stato variamente motivato, innanzitutto sulla base della sua scarsa correttezza teologica. Treffers10 nota una compromettente somiglianza con l’immagine di Lutero «raffigurato come san Matteo scrivendo l’Evangelo» incisa sulla traduzione luterana del Nuovo Testamento stampata a Wittenberg nel 1530. Lavin aggiunge che il motivo della mano umana che scrive guidata da una mano angelica è ripreso da un’incisione raffigurante la beata Veronica Negroni (monaca agostiniana morta nel 1496), e che il volto del santo evangelista è sovrapponibile a quello tradizionalmente attribuito a Socrate11: dunque per più di una motivazione il dipinto si poneva in maniera problematica nella questione del rapporto tra "gratia infusa" e libero arbitrio a pericoloso detrimento di quest’ultimo12. La possibile lettura protestante della tela certo sarebbe andata a sovrapporsi in maniera inopportuna ai conflitti in corso: non bisogna dimenticare che tutta la situazione è ambientata a Roma, nell’epoca dell’applicazione della Riforma cattolica. Sovente è stata anche sottolineata la scorrettezza dell’immagine del santo con i piedi rozzamente in vista e le gambe scompostamente accavallate13. Più tradizionalmente, si ritiene che la prima tela fosse portatrice di un’allusione erotica e che per questo fosse stata respinta. In effetti anche questa ipotesi ha una sua validità, sostenibile collocando la tela dentro il ciclo e leggendola alla luce della Legenda aurea. Nel già citato capitolo dedicato a san Matteo, infatti, Jacopo da Varazze ricorda una triade di peccati – superbia, avarizia, lussuria – e propone come modelli di redenzione di tali peccati rispettivamente san Paolo per la superbia, lo stesso san Matteo per l’avarizia e Davide per la lussuria14. Ebbene la tela della Vocazione di san Matteo presenta proprio la redenzione dall’avarizia, quella del Martirio, vedremo, può essere letta all’insegna della superbia, la tela di San Matteo e l’angelo invece potrebbe proporre effettivamente la redenzione del peccato di lussuria: Lavin ha sottolineato che il san Matteo caravaggesco sta scrivendo in ebraico la genealogia di Cristo15 e in essa spicca il nome di David, ovvero proprio l’esempio di lussuria redenta. Nella seconda versione, invece, l’angelo è rappresentato mentre, dall’alto, computando sulle dita, detta a san Matteo che, di suo pugno, scrive. In questa tela la vicinanza fisica tra l’angelo e l’evangelista è sostituita da una separazione segnata dalla linea curva delle ali e delle vesti dell’angelo in volo. Ebbene proprio questa linea, che segna la differenza tra la dimensione umana e quella angelica, ripropone la linea curva del volo di cherubini che attorniano Dio nella volta sistina, evidenziando la dimensione trascendente del Creatore. Il segno michelangiolesco è anche qui utilizzato con pertinenza e indipendenza.
La tela di sinistra rappresentante il martirio di san Matteo è forse la più complessa. Essa tradisce più delle precedenti la fonte letteraria che ne ha suggerito la composizione narrativa, il cui svolgimento viene però sintetizzato nella unità spaziale e temporale della composizione, con delle sostanziali varianti. Nella Legenda aurea si legge: «Quando la Messa era appena finita, arrivò il boia mandato dal re16: mentre Matteo stava con le braccia tese verso il cielo, il boia gli conficcò la spada nella schiena e lo uccise, consacrandolo martire»17. Analoga la narrazione della vicenda nel Vangelo apocrifo Memorie apostoliche di Ab-dia «Egli [Matteo] poi celebrò i misteri del Signore. Congedata l’assemblea, egli si trattenne perché presso l’altare, dove era stato da lui celebrato [il sacrificio del] corpo di Cristo, avesse trionfo, davanti a tutti, il martirio dell’apostolo. Pertanto, non molto tempo dopo, un sicario mandato da Irtaco colpì di spalle l’apostolo che pregava a mani tese, e così con un colpo di spada lo rese martire di Cristo». Da questa narrazione – cui si ispirò anche Girolamo Muziano per il suo Martirio di san Matteo nella chiesa romana di Aracoeli (1586-1589) e al quale peraltro Caravaggio si rifà secondo alcuni studi comparativi – risultano chiaramente spiegati i personaggi principali, i quali però sono rappresentati «faccia a faccia»: infatti il sicario non è raffigurato nell’atto di colpire alle spalle, ma è posto frontalmente all’apostolo, il quale è sdraiato a terra18. Con un po’ di sforzo interpretativo, la fonte consente di identificare anche i personaggi minori. Infatti, i due gruppetti in alto
a sinistra potrebbero essere i fedeli che, saputo dell’assassinio, si precipitano a dar fuoco al palazzo del re Irtaco. I due personaggi posti dietro (uno dei quali è ritenuto autoritratto di Caravaggio19) hanno un abbigliamento che li fa forse identificare con i monaci e i diaconi che a stento riescono a sedare il linciaggio del re20; il giovanetto sulla destra che fugge spaventato probabilmente è colui che dà l’allarme, e la sua capigliatura e il suo vestiario lo fanno identificare con il chierico che aveva appena servito messa con san Matteo. Infine i personaggi in perizoma in basso al centro e a destra del dipinto sono forse dgli storpi (Treffers li definisce "pauperes"21), che san Matteo guarisce e di cui Caravaggio fornirà un’immagine analoga nelle Sette opere di misericordia (ricordiamo peraltro che al Vangelo di san Matteo sono attribuiti tradizionalmente dei poteri di guarigione del corpo e dell’anima, come spiega lo stesso Jacopo da Varazze). Analogamente la strana architettura costituita da gradini, in basso nel quadro, potrebbe essere l’immagine della piscina probativa di Gerusalemme ai margini della quale gli storpi aspettavano la guarigione al muoversi delle acque al passaggio dell’angelo. Oppure potrebbe essere un fonte battesimale all’antica, per immersione completa22. Oppure potrebbero far riferimento a un altro passo della Legenda aurea. «Agostino [ … ] dice che Matteo ci riporta quaranta generazioni ascendenti di Cristo: dunque il Signore discende a noi attraverso quaranta gradini che noi dobbiamo ripercorrere per salire a lui»23.
La complessità del Martirio può essere sciolta mediante la chiave del riutilizzo personale dei segni classici condotto da Caravaggio nei confronti del Buonarroti. E ancora una volta è chiarificatore un elemento linguistico a cui Caravaggio già aveva attinto nella Vocazione il corpo di Adamo della volta Sistina. Infatti il sicario mandato dal re Irtaco a uccidere san Matteo è stato rappresentato da Caravaggio trasformando l’Adamo di Michelangelo: più precisamente mettendolo in piedi. Dunque quel corpo che giaceva sdraiato, appena creato, in una primordiale presa di coscienza di sé, è uscito dal Paradiso, si è eretto sulle gambe con tracotanza, letteralmente "
superbus", operando un vero e proprio atto di "hybris". Egli, nella tela di Caravaggio, afferra la mano di Matteo "mano-di-Dio", tentando di bloccarne il contatto con la palma del martirio che, dall’alto, è porta da un angelo. L’Adamo michelangiolesco è dunque ridipinto da Caravaggio, ma con una variazione sostanziale che allude a un’importante variazione di significato: Adamo posto in piedi, Adamo cioè divenuto peccatore, uscito dal Paradiso terrestre, è l’immagine della cieca superbia che si pone in contrasto con l’azione redentrice. Un nuovo significato viene, dunque, aggiunto: la superbia dell’uomo si contrappone al martirio che salva.
Il modo con cui Caravaggio utilizza il linguaggio di Michelangelo rinnova i segni pittorici senza creare equivoci. La mutazione di significato, che sottolinea l’“hybris” come supponenza di sé, viene infatti palesata dal cambiamento prodotto anche nella forma esteriore: Adamo è posto in piedi. Entro quest’ottica interpretativa risulta estremamente ricca di significato la scelta compositiva che contrappone il sicario, in piedi, nudo, urlante, e san Matteo, sdraiato, vestito dei paramenti, silente. Adamo, sottolinea sant’Agostino, è uscito dal Paradiso Terrestre per la sua superbia, egli è privato della presenza di Dio, egli grida; la sua superbia, come ogni superbia, si contrappone dunque alla posizione dell’umile24, coperto dalla Grazia, come san Matteo dai suoi paramenti25. In questa tela vengono riproposte le mani come possibilità di rappresentare il rapporto tra umano e divino, in una dinamica però più complessa: la mano angelica porge la palma, san Matteo vuole prenderla; ovvero, nel martirio, l’umano e il divino si incontrano e la mano dell’uomo superbo (Adamo in piedi contro Dio) tenta di opporsi e di impedire il contatto.
Nell’opera caravaggesca, dunque, i segni subiscono uno spostamento, in una reinterpretazione che riesce a dire insieme il medesimo e altro: la mano di Adamo diviene la mano di Cristo che chiama Matteo; il volo di angeli intorno a Dio creatore diviene volo d’angelo su san Matteo evangelista; il corpo di Adamo appena creato si erge e diventa il superbo corpo dell’assassino di san Matteo martire. La Creazione dell’uomo di Michelangelo non subisce uno smembramento linguistico, piuttosto è assunta in un metabolismo di significato: Caravaggio l’ha talmente interiorizzata da poterla riutilizzare. Così l’“exemplum” diviene fonte per parlare ancora un linguaggio nuovo dagli etimi antichi, un linguaggio profondo e vero, che il nostro papa Francesco sa ben comprendere: «In pittura ammiro Caravaggio: le sue tele mi parlano».
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Sul
Ciclo di San Matteo di Caravaggio, cfr. R. Papa,
Da Michelangelo a Michelangelo. Il ciclo di San Matteo di Caravaggio, “ArteDossier”, n. 127, ottobre 1997, pp. 22-26. Su Caravaggio, cfr. anche le seguenti monografie di R. Papa, C
aravaggio. Le origini e le radici, Dossier n. 266, Giunti, Firenze 2010;
Caravage, Imprimerie Nationale Éditions, Paris 2009 ;
Caravaggio. Lo stupore dell’arte, Ed. Arsenale, Verona 2009; Ca
ravaggio. L’arte e la natura, collana “Grandi monografie”, Giunti, Firenze 2008;
Caravaggio. Vita d’Artista, Giunti, Firenze 2007(nuova edizione riveduta );
Caravaggio. Gli anni giovanili, Dossier, Giunti, Firenze 2005;
Caravaggio pittore di Maria, Ancora, Milano 2005;
Caravaggio. Gli ultimi anni, Dossier n. 205, Giunti, Firenze 2004;
Caravaggio. Vita d’artista, Giunti, Firenze 2002 (sono in corso di pubblicazione le traduzioni in lingua francese, spagnola, ceca, coreana e inglese).
Tra i numerosi commenti al Vangelo di Matteo diffusi nel XVI secolo, ricordiamo quelli dei francescani Nicola da Lira e Johann Wild (Giovanni Fero) e del domenicano Alfonso de Avendaño
K Christiansen,
Thoughts on the Lombard training of Caravaggio, in M. Gregori (a cura di)
, Co
me dipingeva Caravaggio (Atti della giornata di studio, Firenze 28 gennaio 1992), Milano 1996, p. 28.
«Levi si traduce “Preso
”,
“aggregato", “aggiunto”, "apposto", fu infatti preso dal suo mestiere di esattore del fuco, aggregato al numero degli apostoli, aggiunto al novero degli evangelisti e apposto al catalogo dei martiri»
, Jacopo da Varazze,
Legenda aurea, cap. CXL (ed. a cura di E. e L. Vitale Brovarone, Torino, 1995, p. 770
).
M. Calvesi,
Le realtà del Caravaggio (continuazione della II parte. I dipinti) in “Storia dell’arte”, n. 63, 1988, p. 117.
Calvesi sottolinea, nella bolla papale relativa alla assoluzione di Enrico IV (il quale era stato scomunicato da parte di Sisto V nel 1585), l’espressione “l’atto potente della destra del Signore”, a confermare l’intreccio dei significati. M. Calvesi,
op.cit., p. 118.
«Riprende
letteralmente la mano dell’Adamo michelangiolesco», M. Calvesi
, op.cit., p. 118 (corsivo aggiunto).
B. Treffers,
Dogma, esegesi e pittura: Caravaggio nella Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi, in “Storia dell’arte”, n. 67, 1989, pp. 241-255, soprattutto pp. 250 e sgg.
I. Lavin,
Divine Inspiration in Caravaggio’s two St. Matthew, in “The Art Bullettin”, LVI, 1974, I, pp. 59-81.
Una motivazione analoga è proposta da Calvesi per il rifiuto della
Conversione di san Paolo, ove Cristo appare eccessivamente “immanente”, quasi gettato sopra Paolo.
le gambe incavalcate e co’ piedi rozzamente esposti al popolo». G. P. Bellori,
Le vite de’ pittori, scultori e architetti moderni, Roma 1672 (ed. a cura di E. Borea, Torino 1976, p. 219). Caravaggio in qualche modo eredita questi elementi della composizione dal
San Matteo affrescato da Simone Peterzano nella certosa di Garegnano, ma, secondo Bologna, ne oltrepassa l’audacia. Cfr. F. Bologna,
L’incredulità del Caravaggio e l’esperienza delle "cose naturali", Torino 1992, soprattutto le pp. 67 e sgg., in cui viene riassunta la
«
quaestio" critica dei piedi. Sulla questione dei piedi, cfr. anche A. Zuccari,
Caravaggio controluce. Ideali e capolavori, Roma 2011, pp. 255 e sgg.
» Jacopo da Varazze
, op. cit, p. 774.
Questa variante nella composizione è probabilmente il frutto meditato di un ripensamento; esistono differenti ipotesi sulle modifiche introdotte nel corso della pittura del quadro, ipotesi fondate sull’analisi radiografica della tela. La semplice illustrazione del racconto viene dunque abbandonata a ragion veduta, a vantaggio di una narrazione ritenuta più
«forte" e più incisiva.
Rossi afferma invece che Caravaggio si autoritrae «a figura intera nudo, con la parte superiore del corpo ricoperta da un mantello nero e con ancora le scarpe ai piedi; il corpo è di profilo (con bene in evidenza le gambe e una natica nuda), mentre la testa è vista di fronte, come nell’atto di voltarsi improvvisamente». S. Rossi,
Un doppio autoritratto del Caravaggio, in AA. VV.,
Caravaggio. Nuove riflessioni, Roma 1989, p. 152.
«Quando i fedeli lo seppero corsero al palazzo del re per incendiarlo, ma furono a stento trattenuti dai preti e dai diaconi; celebrarono allora con gioia il martirio dell’apostolo» Jacopo da Varazze,
op. cit, p. 772.
Jacopo da Varazze sottolinea l’umiltà di san Matteo: egli è umile perché «si dichiarò apertamente pubblicano» e perché «sopportò pazientemente il male che ingiustamente gli veniva fatto», Jacopo da Varazze,
op. cit., p. 773.
Nel
Commento ai Salmi sant’Agostino scrive: «Ma poiché Dio era stato veritiero, quando disse che avrebbe tolto a lui diventato superbo ciò che gli aveva dato quando era umile al momento della creazione […1. Nel paradiso non gridavi ma glorificavi, non piangevi, ma godevi. Scacciato, piangi e grida: colui che ti ha abbandonato quando sei diventato superbo, ti si avvicina ora che sei nella tribolazione» (al Salmo 29: 18, 115); «Dio certamente è grande: è pesante con chi è forte, ma è leggero con chi è debole. Chi intendo per forti? I superbi, che presumono delle loro forze. Infatti proprio la debolezza dell’umiltà è la forza più grande» (al Salmo 92: 6, 10-15); «L’umiltà infatti ti aveva fatto buono, mentre la superbia ti farà cattivo» (al Salmo 25: 11, 10-15) (ed. a cura di M. Simonetta, Fondazione Valla, Milano 1988, p. 73; p. 362; p. 25).