Ma quando il Concilio finisce, la sua onda benefica incrocia il terremoto del “Sessantotto” (1968), che sconvolge l’Occidente cristiano e la Chiesa, anzi le Chiese cristiane. E’ l’atmosfera politico-culturale di quel tempo nel quale nasce Comunione e Liberazione (Cl) e don Giussani lancia i suoi giovani in una nuova avventura dello Spirito. Chi non l’ha vissuto, difficilmente può immaginare lo sconquasso che quel movimento studentesco (e poi globalizzato) ha causato nelle società occidentali e in particolare nella nostra Italia. Ne parlo brevemente per i giovani lettori.
In Italia, il “Sessantotto” è nato nel novembre 1967 con l’ “occupazione” dell’Università Cattolica di Milano da parte di un gruppo di studenti, si è rapidamente diffuso ad altri istituti di educazione, universitari, di liceo e scuola media e poi è dilagato con la violenza inarrestabile di uno “tsunami”. All’inizio si contestavano i “baroni” delle cattedre universitarie, poi a poco a poco, anche i politici e la burocrazia statale, la scuola meritocratica (si chiedeva “il voto politico” uguale per tutti), i “padroni” delle fabbriche e delle ditte, i Carabinieri, la Polizia e la giustizia, i vescovi e la mitica “Curia romana”, per giungere fino al Papa, a quel tempo Paolo VI, che si può definire “il Papa martire del secolo XX” per le contestazioni pubbliche e a volte insolenti, anche da parte cattolica, alla sua persona e alle decisioni che non piacevano ai sessantottini.
Un piccolo esempio. Paolo VI non parlava più di “Dottrina sociale della Chiesa”, poiché prevaleva l’idea che noi cristiani non abbiamo nulla da dire in campo politico, economico e della giustizia sociale, dobbiamo ricorrere all’”analisi scientifica” della società (quella marxista di moda a quel tempo)2. Si stava affermando una concezione della fede intellettualistica, elitaria e missionariamente suicida. La fede dei “pochi ma buoni”, che rendeva irrilevante la presenza di Gesù Cristo e del Vangelo per la soluzione dei complessi problemi dell’uomo e della società. I cattolici si ritiravano nella “scelta religiosa”, lasciando campo libero ai laici e laicisti nelle università, scuole, giornali, case editrici, teatro, cinema e altri enti in cui si produceva la cultura nazionale. Così, nel tempo del Sessantotto, c’era ancora il popolo italiano in grande maggioranza battezzato e praticante, ma la cultura nazionale stava diventando chiaramente anti-cristiana.
Il movimento del Sessantotto, a me come a molti altri preti giovani, all’inizio piaceva. Ci pareva un movimento di rinnovamento della società, una presa di coscienza degli studenti e dei giovani di quei fermenti di novità che il Concilio Vaticano II aveva seminato nella Chiesa. Infatti era nato all’Università Cattolica di Milano. Ma pochi mesi dopo mi sono trovato all’opposizione, perché era evidente che si stava imboccando una via che faceva a pugni con la fede in Cristo e il “sensus Ecclesiae” della mia formazione cristiana e sacerdotale. Ho poi seguito da vicino e combattuto, con le mie piccole forze, il Sessantotto, sempre più lontano dalla Fede e dalla Tradizione cattolica umanizzanti. Promuoveva una mentalità individualista e protestataria, col risultato di far prevalere la protesta, la denunzia, lo sciopero, il moralismo. Tutti protestavano e scioperavano (contro gli altri), denunziavano e accusavano (gli altri), chiedevano con forza e pretendevano sempre nuovi privilegi (un solo esempio, l’assurda “baby pensione”, per cui un dipendente statale, dopo 15 anni di servizio allo Stato, poteva andare in pensione con una pensione minima, ma poi naturalmente, a 40 anni o anche meno, prendeva un altro lavoro!).