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L’azione di Bergoglio contro la dittatura di Videla

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Lucandrea Massaro - pubblicato il 11/09/13

Un libro racconta il cosiddetto "sistema Bergoglio", una rete che ha permesso a moltissimi dissidenti di sfuggire alla polizia del regime
E’ in uscita un libro che parla dell’impegno di padre Bergoglio, cioè Papa Francesco, durante gli anni della dittatura in Argentina, a favore dei dissidenti, laici o sacerdoti, che rischiavano la vita durante quegli anni difficili. Uno sforzo paziente e silenzioso in cui – con quello che si è potuto ricostruire – è possibile definire come un vero e proprio “sistema”: il “
sistema Bergoglio”, una rete di relazioni con cui, attraverso singole piccole richieste, le persone in pericolo di vita venivano aiutate a trovare rifugio o riparo oltre il confine. L’opera in questione – in uscita il prossimo 1° di Ottobre – è del giornalista di Avvenire,
Nello Scavo, “
La lista di Bergoglio. I salvati da papa Francesco. Le storie mai raccontate” (prefazione di Adolfo Pérez Esquivel, premio Nobel per la pace; Emi, pagine 192, euro 11,90 – www.emi.it). Un lavoro basato sugli archivi, sulle interviste ai protagonisti e con alcuni inediti di grande importanza. Lo stesso Bergoglio, già Cardinale, venne interrogato a lungo nel 2010 dai magistrati che volevano capire il suo coinvolgimento in quegli anni. (Corriere della Sera, 3 settembre)

Il “sistema Bergoglio” era talmente segreto che ben pochi ne sapevano qualcosa e addirittura sul futuro Papa si sono addensate le nubi del sospetto riguardo due giovani sacerdoti individuati dal regime come possibili simpatizzanti del comunismo che vennero rapiti dai militari e di cui Bergoglio cercò con tenacia di avere notizie e di farli liberare. Uno stralcio dell’interrogatorio:

Zamora (avvocato dell’accusa): Sarebbe importante che lei facesse uno sforzo per ricordarsi da dove venivano le accuse rivolte a Yorio e Jalics a cui ha accennato prima.

Bergoglio : Dagli stessi ambienti, anche se di ideologie diverse, in modo trasversale. Alcuni settori della società o del mondo della cultura che non erano d’accordo con quella scelta. Una scelta molto ben definita dalla Chiesa. […]

Z.: Si consultavano con lei?

B.: Si parlava nelle comunità, nei settori, in alcune parrocchie. In tutti i settori della Chiesa. E anche fuori.

Z.: Non ricorda nessun caso concreto, qualche vescovo, cardinale?

B.: No, perché era qualcosa di molto comune. Anche se cerchi di non dare importanza, non alle accuse ma al loro significato, anche se non è vero, sono già tutti convinti, è già scritto, che i preti che lavoravano con i poveri sono comunisti. […]

Z.: Si ricorda di essersi consultato in qualità di provinciale con padre Jalics per le accuse che lui e padre Yorio continuavano a ricevere?

B.: Sì, e non solo con loro due, ma con tutti i gesuiti che avevano fatto quella scelta sul fronte della povertà. Era normale che ci confrontassimo su queste cose e vedere come potevamo procedere. […]

Z.: È a conoscenza di ciò che accadde a Jalics, Yorio e a un gruppo di catechisti del Quartiere Rivadavia?

B.: In che data?

Z.: Nel maggio del 1976.

B.: Si riferisce al sequestro?

Z.: Io non posso suggerirle la risposta.

B.: Intorno al 22, 23 di maggio vi fu una retata e furono sequestrati (picchietta con il dito, nota del cancelliere).

Z.: Sa chi fu sequestrato?

B.: So che i padri Jalics e Yorio furono detenuti insieme a un gruppo di laici. So anche che alcuni furono liberati nei giorni seguenti, o così mi fu detto.

Z.: Sa se li avessero già sospesi?

B.: È quello che sentii dire, non lo so. […] B.: Dipesero dall’ordine fino a che non ne uscirono. Vi fu un periodo di transizione. Successivamente […] si misero alle dipendenze del vescovo locale.

Giudice Presidente: E durante la transizione?

B.: Io dissi loro che potevano continuare a celebrare messa fino a che non sarebbero stati ordinati. […]

Z.: Durante la transizione potevano celebrare come un qualsiasi altro sacerdote?

B.: Lasciai che fossero loro a interpretare le mie parole. […]

G. P.: Li accompagnò, li aiutò, c’era un rapporto che si manteneva vivo con i padri Jalics e Yorio?

B.: Sì, offrii loro anche di venire a vivere nella curia provinciale, con me […]. Già si vociferava della possibilità di una retata. Almeno fino a che non avessero incontrato un vescovo benevolo. Mi ringraziarono. […] 

A confermare l’impegno a favore dei due gesuiti, le parole di un altro beneficiario della rete di Bergoglio, un altro gesuita, oggi poco più che ottantenne, Juan Manuel Scannone, massimo esponente di quella che dagli anni Ottanta in poi è stata definita “teologia del popolo”, che – rammenta – come nonostante la distanza teologica tra lui e Bergoglio, egli non si sia tirato indietro nel prestargli aiuto. La testimonianza direttamente raccolta da Nello Scavo. (
Avvenire, 6 settembre)

Infine, il caso di Yorio e Jalics, i due gesuiti rapiti, torturati e rilasciati dopo quasi sei mesi…
«Padre Jalics ha smentito qualunque coinvolgimento di Bergoglio. Personalmente ne ero certo da anni. Poiché Bergoglio abitava nella nostra casa a San Miguel proprio quando fecero sparire i due padri, egli mi raccontava quello che faceva e le informazioni che raccoglieva per riuscire a scoprire chi li avesse sequestrati e dove fossero imprigionati. Posso testimoniare della preoccupazione e dell’impegno del padre provinciale per riportare in libertà entrambi».

Bergoglio era riuscito ad avere informazioni precise?
«Sì, e aveva messo con le spalle al muro i generali. Alla fine i due padri vennero rilasciati, ma in modo che non potessero dare indicazioni precise su chi li avesse trattenuti e torturati. Durante tutto il periodo di detenzione, entrambi sono rimasti sempre incappucciati e prima di essere liberati furono narcotizzati. Bisogna poi riconoscere che con l’aiuto del padre provinciale entrambi riuscirono a trovare riparo all’estero, per non incorrere in qualche nuova e più drammatica desaparición». 

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