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“Vi racconto trent’anni all’ombra dei papi”

John Thavis si racconta

@DR

Chiara Santomiero - pubblicato il 09/09/13

I diari del vaticanista John Thavis tra poteri e retroscena

"I diari vaticani. Poteri e retroscena": promette di essere avvincente già dal titolo il libro del giornalista John Thavis, per 30 anni vaticanista dell'agenzia di stampa americana Catholic News Service, che viene presentato il 10 settembre nell'edizione italiana (Castelvecchi). Attraverso resoconti di prima mano, ricostruzioni e aneddoti Thavis racconta i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI fino agli esordi di Papa Francesco, testimoniando ciò che ha visto e conosciuto di una realtà complessa – quella della Santa Sede e degli uomini che la governano e la animano – non sempre facilmente racchiudibile in stereotipi, come racconta il giornalista ad Aleteia.

Come si può sintetizzare l'esperienza di 30 anni di giornalista all'ombra del "Cupolone"?

Thavis: E' stata una lenta immersione, attraverso una miriade di incontri, in un mondo molto affascinante per un cattolico che mi ha riservato sorprese inaspettate. E' stato anche un periodo di apprendimento sul funzionamento della Chiesa universale vista nel suo centro. Un'esperienza davvero molto positiva e ho scritto il libro proprio perchè dopo trent'anni ho constatato che il Vaticano è un mondo molto più complesso e umano di quanto appaia dai titoli dei giornali. Credo che spesso la gente ne abbia un'impressione sbagliata e per questo ho voluto scrivere ciò che ho visto.

Come è cambiato il Vaticano in questi anni?

Thavis: Il Vaticano è cambiato come tutto il mondo, dove l'informazione viaggia molto più veloce. Una volta se dovevo scrivere un articolo su qualche tema trascorrevano giorni per cercare un appuntamento con un funzionario vaticano esperto e intanto frequentavo le biblioteche pontificie per raccogliere informazioni. Oggi è tutto a portata di mano grazie a Internet e anche il Vaticano si è adeguato. Ho avuto il privilegio di seguire Giovanni Paolo II che ha rappresentato un periodo di innovazione per la Chiesa cattolica sotto il profilo della comunicazione, proseguito poi con Benedetto XVI. Non sempre però le cose funzionano bene anche a questo livello: quando papa Francesco parla a braccio mette in difficoltà la comunicazione ufficiale della Santa Sede che fa fatica a seguirlo nella comunicazione fresca e originale, non programmata. Il Vaticano deve capire come gestirla ma piano piano si impara. Trent'anni fa le conferenze stampa della santa Sede erano un evento raro, adesso ce ne sono anche due-tre a settimana. Non è insolito che un dicastero programmi più conferenze stampa nel corso dell'anno. C'è più attività e più apertura alla collaborazione esterna.

E come è cambiato il mestiere del vaticanista?

Thavis: Il giornalista oggi vive la pressione di produrre subito l'informazione e questo è un bene e un male. Più informazione significa più trasparenza e maggiore conoscenza delle questioni da parte della gente, però il giornalista passa la maggior parte del tempo davanti al computer. Una volta doveva coltivare le sue "fonti" per la maggior parte della giornata, mentre adesso c'è poco tempo per i contatti con i funzionari vaticani o le persone che hanno informazioni. Le fonti, tuttavia, per un giornalista sono importanti e nella mia esperienza il 90% delle persone che ho incontrato in Vaticano erano disponibili ad aiutarmi con la propria competenza. I bollettini della Santa Sede permettono oggi addirittura di non essere presenti fisicamente in sala stampa, ma il vero vaticanista è quello che c'è ogni giorno per cogliere sfumature, sollecitare "off the records", telefonare e fare domande per capire meglio cosa c'è dietro la notizia del bollettino. Altrimenti tutti finiscono per masticare le stesse notizie che devono necessariamente essere "riprese" ma nessuno le "produce".

Nel corso della tua carriera di vaticanista hai raccolto tantissimi aneddoti: c'è qualcuno di divertente che ricordi in particolare?

Thavis: Ho tanti ricordi, specialmente dei viaggi papali. Ogni Paese che Giovanni Paolo II visitava ci teneva a fare bella figura e così una volta in Zambia, in occasione della visita del Papa, si erano preoccupati di risistemare l'aeroporto e le strade intorno. Arrivati insieme sull'areo papale, il pontefice fu fatto salire su un'automobile, il suo seguito su altre e noi giornalisti su un pulmino. L'auto del papa parte, quelle del seguito pure, mentre noi rimaniamo fermi… Era successo che, per motivi di sicurezza, avevano costruito dei dossi per rallentare la circolazione ma erano così alti che il pulmino non riusciva a oltrepassarli e così siamo dovuti scendere a spingerlo!

E un episodio che ti ha commosso?

Thavis: E' un ricordo molto felice che associo alla Via Crucis al Colosseo del 2002 i cui testi Giovanni Paolo II volle che fossero affidati a noi giornalisti. Mi assegnarono la prima stazione, quella dell'agonia sul Getsemani e io dissi che certo l'avrei scritta, non c'era problema. In realtà ero spaventato: cosa potevamo dire noi giornalisti al papa? E se avessi sbagliato qualcosa dal punto di vista teologico? Immaginavo che il papa intervenisse per dire "no, non è così"… Invece il papa ci ringraziò tutti: Giovanni Paolo II ha avuto fiducia che anche i laici avessero qualcosa da dire e non ha avuto paura di andare oltre i confini del Vaticano.

Hai detto, a proposito del tuo libro, che non basta cambiare il papa per cambiare il Vaticano: quale compito aspetta Papa Francesco?

Thavis: Papa Francesco ha un compito grande da affrontare con la riforma della Curia ed è chiaro che i cardinali che lo hanno eletto non intendono la riforma solo dal punta di vista delle strutture ma soprattutto della mentalità. Cosa non facile perchè certi ambienti hanno una loro tradizione che resiste da secoli e un papa che arriva non può spazzare via tutto da un giorno all'altro. Deve cercare un modo per cui il cambiamento venga accettato e credo sia ciò che Bergoglio sta facendo con le sue omelie quotidiane a S. Marta che sono indirizzate prima di tutto al Vaticano. Prima di cambiare le strutture, sta evangelizzando le persone facendo loro vedere in modo diverso il ruolo che rivestono e le mansioni che svolgono. Introduce pian piano nuove idee: non basta essere un buon manager, ma un buon pastore deve stare con il gregge. Forse è proprio questo il problema della Curia: per troppo tempo è stata lontano dalla gente normale, frapponendo barriere. Papa Francesco è il primo a dimostrare di voler rimuovere le barriere, anche in modo simbolico, scegliendo di rimanere a S. Marta invece che nel palazzo apostolico. Il suo modo di essere pontefice è un pò diverso dal solito, occorre del tempo per la conversione delle strutture. Però riuscirà perchè è una persona tenace ed ha le idee chiare.

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