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Perché la fabbrica dei divorzi sta distruggendo la nostra civiltà

La fabbrica dei divorzi

@Edizioni San Paolo

Pagine Aperte - pubblicato il 05/09/13

Un bilancio controcorrente degli oltre quarant'anni trascorsi da quando in Italia porre fine al proprio matrimonio è diventato un diritto soggettivo

di Massimiliano Fiorin

Si tratta del diritto di divorziare senza alcun motivo oggettivo, anche in mancanza del consenso dell'altro coniuge, che nel corso di quegli anni venne presentato come una conquista che avrebbe dovuto portare maggiore giustizia e felicità per tutti.

Il divorzio libero e incondizionato – idea che mai era stata accolta prima, in alcun ordinamento giuridico del mondo – soltanto allora iniziò a essere considerato come un traguardo di libertà da raggiungere al più presto, in quanto una società davvero evoluta non avrebbe potuto farne a meno ancora per molto.

Prima di quell'epoca così ideologizzata, anche nei Paesi di tradizione protestante, che pure da secoli lo ammettevano nelle loro leggi, il divorzio non era mai stato considerato un diritto, bensì un rimedio estremo per porre fine a matrimoni oggettivamente falliti.

Ora, a decenni di distanza, se sapessimo guardare con uno sguardo razionale al crescente numero di fatti di sangue che si verificano, anno dopo anno, per ragioni connesse alla disgregazione dei nuclei familiari, nonché ai malesseri e ai danni gravi che si generano nelle persone coinvolte – a cominciare dai minori – faremmo invece presto a concludere che il prezzo che stiamo continuando a pagare per la “conquista civile” del divorzio è davvero molto alto.

Eppure, la maggior parte delle persone – anche tra coloro che si occupano del problema per ragioni professionali – sembra del tutto incapace di trarre le dovute conseguenze da fatti che pure sono incontrovertibili, o almeno di cominciare a porsi qualche domanda.

Al di fuori dell'ambito del mondo cattolico, dopo la pubblicazione de La Fabbrica dei divorzi è stato difficile trovare altri specialisti disposti a entrare seriamente nel merito dei problemi denunciati, e a discutere dei rimedi proposti, a partire dalla deontologia forense e dal covenant marriage. Per non parlare, poi, della più complessa questione della paternità e della crisi del maschile.

Nessuno ha mai potuto sostenere che i dati da me presentati, riguardo alla denatalità, alla disgregazione sociale, alla violenza e ai disagi indotti dal divorzio facile non fossero veri, o che fossero spiegabili mediante altre cause più o meno esplorate.

Tuttavia, secondo il mainstream del pensiero di coloro che si occupano del problema, al massimo si può dibattere dei modi coni quali vengono affrontate le conseguenze del divorzio. A condizione, però, che non si metta mai in discussione il diritto di ognuno di inseguire il proprio desiderio individuale, al di sopra di ogni altro bene familiare e sociale. Tant'è che proprio in questi ultimi mesi, nonostante le gravi difficoltà che sta incontrando l'applicazione delle legge sull'affidamento condiviso del 2006, tra i nostri parlamentari c'è chi è tornato a proporre il “divorzio breve”, senza più i tre anni di separazione legale.

Insomma, tanti dicono di avere una ricetta per curare i sintomi, ma tuttora ben pochi sono disposti ad ammettere che il divorzio in sé è la malattia. Per questo, aggiornando per quanto possibile, ho deciso di riprovare a tirare il sasso nello stagno con questa seconda versione del saggio, drasticamente ridotta per andare più direttamente al punto delle varie questioni che il problema del divorzio ha portato con sé.

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Finché la legge non vi separi”, il volume di Massimiliano Fiorin, avvocato civilista e giornalista pubblicista, già presidente della Camera Civile di Bologna fino al 2011.

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