La richiesta di una giornata di digiuno e preghiera è l’affidamento della Chiesa al Signore
di Riccardo Cascioli
Quando il papa si è affacciato ieri a mezzogiorno per la tradizionale preghiera dell’Angelus si è capito subito che c’era qualcosa di nuovo e di grave. L’espressione era insolitamente seria, addirittura sofferente. Poi quando ha cominciato a parlare è apparso evidente che si trattava di un Angelus speciale: via il tradizionale commento al Vangelo domenicale, il Papa si è subito fatto «interprete del grido che sale da ogni parte della terra, da ogni popolo, dal cuore di ognuno, dall’unica grande famiglia che è l’umanità, con angoscia crescente: è il grido della pace».
Le parole che poi sono seguite indicano anzitutto che il conflitto in Siria non è una guerra come tutte le altre, o meglio, lo è ma nel modo più radicale. Ogni guerra è violenza, distruzione, causa infinita di sofferenze, rabbia, odio, sorgente di nuova violenza. In Siria c’è tutto questo, ma a un livello tale che tutto il mondo ne può restare coinvolto. E del resto basta vedere quante nazioni in questi due anni hanno messo il becco – vale a dire soldi, armi e militari – in questa guerra che si fa fatica a chiamare civile, sull’uno e sull’altro fronte: potenze regionali o aspiranti tali, come Iran, Turchia, Qatar, Arabia Saudita; e potenze mondiali come Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia. E l’elenco non è completo. Al punto cui siamo arrivati, basta davvero poco – una provocazione, un attentato grave, una rappresaglia, anche un bombardamento mirato – perché il conflitto divampi incontrollato.
Il Papa ieri ci ha trasmesso questa drammatica consapevolezza, ma non da analista politico che – conoscendo bene le dinamiche internazionali – può prevedere un probabile sviluppo della situazione attuale. Era una consapevolezza profetica, ovvero da chi conosce il giudizio di Dio sulla storia che stiamo vivendo. Non per niente, ascoltandolo veniva da chiedersi: forse Costui conosce qualcosa su questa guerra che noi non sappiamo?
In effetti, spesso appiattiti sulla cronaca e sulle analisi diplomatiche e militari, ci sfugge il senso profondo di questi avvenimenti, ciò che il Papa ha invece voluto indicarci. Non per niente uno dei temi ricorrenti del suo pontificato è il riferimento al Diavolo, il giudizio netto sulle nostre azioni («se non si sta con Gesù si sta con il Diavolo») e anche sulla storia. E non può certo essere un caso che lo scorso aprile papa Francesco abbia chiesto al patriarca di Lisbona, il cardinale José Policarpo, di affidare il suo pontificato alla Madonna di Fatima, cosa poi effettivamente avvenuta il 13 maggio, giorno della prima apparizione. E per il prossimo 13 ottobre – ricorrenza dell’ultima apparizione a Fatima – il Papa ha voluto a Roma la statua originale della Madonna (dove c’è incastonato il proiettile che il 13 maggio 1981 colpì Giovanni Paolo II) alla quale consacrerà il mondo.
E’ un gesto che altri papi hanno già compiuto, in momenti forti di crisi internazionali: lo fece Pio XII il 31 ottobre 1942, in piena Seconda Guerra mondiale, lo fece Giovanni Paolo II il 25 marzo 1984 durante la crisi degli euromissili; lo fece ancora Giovanni Paolo II l’8 ottobre del 2000, in piazza San Pietro affidando alla Madonna di Fatima il terzo millennio. In quest’ultima occasione , nell’atto di affidamento Giovanni Paolo II descrisse quello che un altro devoto di Fatima, il “sindaco santo” Giorgio La Pira, definiva il “crinale apocalittico” della storia in cui si trova l’umanità:
«L’umanità possiede oggi strumenti d’inaudita potenza: può fare di questo mondo un giardino, o ridurlo a un ammasso di macerie. Ha acquistato straordinarie capacità d’intervento sulle sorgenti stesse della vita: può usarne per il bene, dentro l’alveo della legge morale, o può cedere all’orgoglio miope di una scienza che non accetta confini, fino a calpestare il rispetto dovuto ad ogni essere umano. Oggi come mai nel passato, l’umanità è a un bivio. E, ancora una volta, la salvezza è tutta e solo, o Vergine Santa, nel tuo figlio Gesù».
Anche papa Francesco dunque si pone sulla scia delle indicazioni date dalla Regina della Pace a Fatima, e che trovano una impressionante continuazione a Medjugorje.
Siamo a un bivio: o la comunità internazionale decide di «fare ogni sforzo per promuovere, senza ulteriore indugio, iniziative chiare per la pace in quella Nazione, basate sul dialogo e sul negoziato, per il bene dell’intera popolazione siriana», oppure ci si può aspettare «drammatici sviluppi» non solo per la Siria.
C’è solo un modo per sconfiggere il demonio, per allontanare la minaccia della guerra, e per questo il Papa ha «indetto una giornata di digiuno e di preghiera per la pace in Siria, in Medio Oriente, e nel mondo intero».
La Chiesa non farà certo mancare anche un impegno diplomatico, ma tutto sarebbe vano senza questo rivolgersi tutti insieme al Signore della storia («Senza di me non potete fare nulla»). Il digiuno indica appunto questa conversione,questo cambiamento di sguardo, affermare la signorìa di Dio nella nostra vita e nella storia, aprire a Lui il nostro cuore perché cambi l’odio in amore. Preghiera e digiuno sono le armi più importanti che abbiamo contro la guerra, come ha indicato la Regina della pace a Fatima e ora a Medjugorje.
In questo modo scopriamo che le sorti del mondo non dipendono da Obama, Cameron, Assad o al-Qaeda, ma da tutti noi, dalla nostra disponibilità a volgere di nuovo il nostro sguardo verso Cristo.