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Dimenticate la propaganda e meno chiacchiere da libro stampato

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Gilberto Borghi - Vinonuovo.it - pubblicato il 23/08/13

Nei testi degli studenti alcuni spunti interessanti per la nuova evangelizzazione

Chi meglio di loro? Sarebbero i destinatari. Ma proprio per questo ci potrebbero dare indicazioni su come raggiungerli e su quali porte sarebbero disposti ad aprire e su quali invece sarebbe inutile bussare. Sembra strano, ma di fatto nei testi dei miei studenti ho trovato molto materiale proprio su come potrebbe essere una nuova evangelizzazione.

Potremmo iniziare dicendo che hanno molto chiaro quello che non andrebbe fatto. "Spingere qualcuno a credere può dare solo effetti negativi". O anche: "Un atteggiamento propagandistico rende impossibile il dialogo e quindi non ci interessa quello che ci viene detto". E per atteggiamento propagandistico hanno un'idea ben chiara: "Si capisce subito se un prete è lì per convincerti o se vuole condividere la sua esperienza".

Dove il confine viene tirato sulla base di percezioni non verbali, di cui spesso non sono consapevoli, ma che fanno da filtro essenziale per accettare o rifiutare colui che parla. Percezioni che manifestano l'intenzione profonda che anima l'evangelizzatore, molto più delle parole o dei linguaggi utilizzati. "Non sopporto quando un prete parla come se fosse un libro stampato, e non mi dice nulla di quello che vive davvero lui".

Questo mette già in campo quello che secondo loro, è l'elemento principale che rende efficacie l'evangelizzazione. "Occorrerebbe creare una nuova forma di dialogo tra giovani e fede, in modo che un prete ci ascolti e ci racconti cosa è Dio per lui". E ancora più chiaro: "Chi sa di avere fede trasmette la sua bellezza interiore con la propria vita, non dovrà convincere o costringere, sarà lui ad essere la calamita. Il nuovo papa Francesco, per me ha la calamita".

Che dice bene quale sarebbe la porta a cui dovremmo bussare, quella della comunicazione vera e sincera tra due persone che si incontrano e magari si scontrano e in questo si raccontano, in modo che la percezione di Dio che uno ha, finisca per essere contagiata all'altro. E quindi indica che una evangelizzazione efficace, oggi nasce solo dal desiderio di raccontare le meraviglie di Dio nella mia vita e nulla più. Senza nessun desiderio di "produrre effetto" sull'altro.

Questo elemento di fondo, si traduce per loro in tre indicazioni pratiche. La prima: "Forse avremmo solo bisogno che qualcuno ci ascolti davvero". A dire che una evangelizzazione efficace oggi parte dall'ascolto dei destinatari. Certo nasce dall'incontro con Cristo e dalla sua signoria sulla nostra vita. Ma in concreto il primo atto, il primo effetto che questo dovrebbe produrre oggi, sembra essere quello di mettersi a voler conoscere l'altro. "Il voler dar risposte non può essere lo strumento per diffondere Dio, ma l'ascolto delle persone sì".

E questo perché hanno bisogno di non sentirsi "dati per scontati", magari perché abbiamo letto qualche report di una analisi sociologica sui giovani. Come se tutti fossero uguali e ben fotografati dalla valutazione sociologica. Quanti sono gli evangelizzatori che oggi perdono tempo ad ascoltare le persone? A tentare di capire e di entrare davvero nel mondo di chi abbiamo davanti, per cogliere lì dentro cosa già lo Spirito sta facendo, in modo che la nostra testimonianza possa sintonizzarsi su questo e non misconoscerlo?

La seconda: "Non cerchiamo una spiegazione sull'esistenza di Dio o risposte e valutazioni, ma cerchiamo il desiderio di ascoltare e capire quello che abbiamo da dire. Dopo, allora, ci può essere data una risposta, non prima". Il ruolo e il momento delle risposte non è messo da parte da loro, come se la fede si potesse costruire solo a partire da sé stessi. Questo lo sanno. Ma esse arrivano e servono solo dopo che si è dato il tempo e il modo alla persona di chiarirsi, di far crescere ed esplicitare le domande, di dare spazio ai propri dubbi.

Anticipare il messaggio di Cristo a chi non ha ancora aperta e matura la domanda sul valore e il senso di sé stesso è come dare le "perle ai porci". E se poi le perle finiscono distrutte e calpestate non possiamo lamentarci. Ma quanti sono gli operatori pastorali che sanno davvero cogliere i tempi delle persone e rispettarli? Quanti sanno avere la pazienza di accompagnare con delicatezza e attenzione gli altri, senza fare altro che vivere la propria fede di fronte a lui perché, se vuole, se ne possa innamorare?

La terza. "Avere fede o no è una scelta difficile e la mentalità per decidere davvero la si raggiunge solo dopo una certa età. Ecco che invece la Chiesa inizia il catechismo fin da piccoli e quando ce ne sarebbe più bisogno non lo fa più". Al di là che i dati non siano proprio così, resta vero un fatto. Oggi credere non è una cosa semplice e nemmeno di moda. Non possiamo pensare che il percorso per sostenere la fede di chi crede possa dare il meglio, offrire gli strumenti essenziali, all'età di 13-14 anni. Per questo oggi la cresima diventa spesso il sacramento dell'addio e non quello dell'inizio di una vita di fede adulta.

La gradualità nella fede non è un "optional" e l'adesione a Cristo non arriva una volta per tutte. E anzi, forse questi ragazzi ci ricordano la cosa più importante della fede: o cresce e cambia col crescere delle persone oppure muore.

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