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Papa Francesco: uno stile che interroga

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Chiara Santomiero - pubblicato il 08/08/13

Eugenio Scalfari: tre domande e una riflessione sulla Chiesa "povera" per Bergoglio

Il tratto umano e le scelte dai toni "feriali" di Papa Francesco ("normali, dobbiamo essere normali", ha detto ai giornalisti che lo hanno accompagnato a Rio de Janeiro per la Giornata mondiale della gioventù) interrogano, fin dal giorno della sua elezione, le coscienze e i cuori di credenti e non credenti. Così anche il fondatore del quotidiano La Repubblica, Eugenio Scalfari, per sua stessa definizione "non credente" e di "cultura illuminista" ma "da molti anni interessato e affascinato dalla predicazione di Gesù di Nazaret, figlio di Maria e Giuseppe, ebreo della stirpe di David", ha analizzato la figura di Bergoglio e la sua idea di Chiesa, ponendogli infine tre domande e proponendo una riflessione su Chiesa, carisma e potere destinata a far discutere.

"Se una persona non ha fede nè la cerca, ma commette quello che per la Chiesa è un peccato, sarà perdonato dal Dio cristiano?": questa la prima domanda che Scalfari ha rivolto a Papa Francesco dalle colonne di La Repubblica il 7 agosto. Seconda domanda: "il credente crede nella verità rivelata, il non credente pensa che non esista alcun assoluto e quindi neppure una verità assoluta, ma una serie di verità relative e soggettive. Questo modo di pensare per la Chiesa è un errore o un peccato?". E, infine, se, come ha detto il Papa nel suo viaggio in Brasile anche la specie umana come tutte le cose che hanno un inizio e una fine scomparirà, scomparirà con essa anche il pensiero di Dio perchè nessuno sarà più in grado di pensarlo?

Si tratta di domande rivolte non in veste di giornalista, ma, appunto di non credente, a un pontefice «buono come Papa Giovanni», che affascina la gente «come Wojtyla», è cresciuto tra i gesuiti e ha scelto di chiamarsi Francesco «perché vuole la Chiesa del poverello di Assisi». Un uomo «candido come una colomba ma furbo come una volpe», a cui tutti guardano ammirati e che piace moltissimo ai non credenti oltre che ai credenti.

Quello descritto da Scalfari, riassume ilsussidiario.net (7 agosto) è «un pontefice che vuole una Chiesa povera, militante e missionaria "costruita a somiglianza di un Dio misericordioso, che non giudica ma perdona"». Tuttavia la Chiesa è pur sempre un’istituzione. «Una struttura di servizio, secondo Francesco, che confligge – a detta di Scalfari – con quel che ha, invece, rappresentato per 2000 anni: ogni Papa ha sempre amato e usato il potere e "non c’è mai stata, se non nei casi di debolezza e di agitazione, una Chiesa orizzontale invece che verticale"» (ilsussidiario.net 7 agosto).

La Chiesa di Bergoglio è quindi una Chiesa povera, orizzontale – visione condivisa dal cardinale Martini di Milano che richiamava, accanto al magistero del papa, la collegialità dei Sinodi dei vescovi e delle conferenze episcopali – a cui si aggiunge, nel pensiero di Scalfari, anche una terza caratteristica: "un Dio che non giudica ma perdona".

E’ al concetto di Chiesa povera che si lega la riflessione di Scalfari: «Credo che il Papa, che predica la Chiesa povera – scrive il giornalista -, sia un miracolo che fa bene al mondo. Ma credo anche che non ci sarà un Francesco II. Una Chiesa povera, che bandisca il potere e smantelli gli strumenti di potere, diventerebbe irrilevante. È accaduto con Lutero ed oggi le sette luterane sono migliaia e continuano a moltiplicarsi. Non hanno impedito la laicizzazione anzi ne hanno favorito l’espansione. La Chiesa cattolica, piena di difetti e di peccati, ha resistito ed è anzi forte perché non ha rinunciato al potere».

Un giudizio netto che ha provocato reazioni dello stesso tenore, a cominciare da Paolo Naso coordinatore della commissione studi della Federazione delle chiese evangeliche in Italia di cui ilsismografo (8 agosto) anticipa l’editoriale del prossimo numero di NEV-notizie evangeliche: «Quella di Scalfari – scrive Naso che giudica "impronunciabile" la stessa espressione "sette luterane"- è affermazione che esprime perfettamente l’habitus intellettuale di gran parte della cultura “laica” italiana: una cultura che, proprio perché non conosce Lutero e tanto meno Calvino – se non per la mediazione che ne ha fatto la polemica cattolica anti protestante preconciliare – identifica la Chiesa cattolica con il cristianesimo, confonde il potere ecclesiastico con la missione evangelica, ignora che la laicità è compatibile con la fede e aborrisce una pratica cristiana costruita sulla responsabilità individuale del credente piuttosto che sul principio di autorità». La scarsa conoscenza dei fondamenti delle Chiese riformate provoca, secondo Naso, effetti profondi sulla cultura e sulla stessa società contemporanea: «non comprendere il ruolo della Riforma nella modernità significa non comprendere fino in fondo il portato della modernità, il nuovo orizzonte di libertà che essa ha aperto a chi crede, a chi non crede, a chi crede in termini non convenzionali. La debolezza radicale della cultura laica italiana è in questa aporia cognitiva che ha poche eccezioni. Lo stato dell’etica e della res publica italica dicono chiaramente quali ne siano gli effetti».

Per La Bussola quotidiana (8 agosto) in effetti Papa Francesco ha spiegato più di una volta cosa intenda per "Chiesa povera per i poveri": «È una Chiesa che non spreca, che rinuncia alle cose inutili – non certo a quelle necessarie – per "uscire" e andare a incontrare i "poveri", che non sono solo i poveri materiali ma anche i poveri spirituali, quelli che magari hanno tanti beni materiali ma non hanno la bellezza, l’amore, la verità, il senso della vita, la risposta alle loro domande più profonde».

A distanza sembra dialogare con le riflessioni di Scalfari, l’articolo di Marcello Neri su Il Mulino (7 agosto) per il quale: «Francesco sta mettendo ogni energia per ridare credibilità a un’istituzione che l’ha sbriciolata nell’arroganza della propria diversità» perchè ha compreso benissimo che «procedure basate sul solo principio di autorità hanno efficacia sempre più limitata (…) e soprattutto feriscono le persone e aumentano la distanza della gente dall’istituzione stessa». Infatti «Una Chiesa senza popolo reale è una contraddizione di termini». Con il suo stile Papa Francesco «va creando uno spazio di libertà, di possibilità, di ideazione» affidato alla libertà dei credenti. «In questo spazio – scrive Neri, professore incaricato di teologia cattolica presso l’Università di Flensburg  – si deciderà della qualità della fede dei credenti comuni, si vedrà se la Chiesa come istituzione potrà fare affidamento sulla responsabilità in prima persona e sulle competenze dei singoli cristiani». Una nuova situazione che provoca effetti anch’essi non comuni: «Non abbiamo più scuse e, soprattutto, ci è stato tolto di mano il giochino del risentimento e della lamentazione continua: oramai siamo messi a nudo anche noi e si vedrà di quale pasta siamo fatti».

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