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Berlusconi e i cattolici

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GABRIEL BOUYS

Lucandrea Massaro - pubblicato il 05/08/13

Perché il mondo cattolico ha dato così ampio credito al Cavaliere?
Dopo la manifestazione di solidarietà che si è svolta domenica 4 agosto, il settimanale cattolico Famiglia Cristiana, con un editoriale del suo direttore, Don Antonio Sciortino, si è chiesto in modo netto se per Silvio Berlusconi non sia il momento di ritirarsi definitivamente dalla scena pubblica. O meglio, Don Sciortino chiede che siano i suoi stessi parlamentari, il gruppo dirigente del PDL, a chiedere al “padre-padrone” del centrodestra italiano di fare un passo indietro. (Famiglia Cristiana, 4 agosto)
Alla manifestazione invece il Cavaliere ha ribadito la sua presenza nell’agone politico, forte dell’abbraccio che i suoi supporter gli hanno tributato nonostante il caldo. Berlusconi in pochi minuti, raramente è stato così breve nei suoi interventi a braccio da un palco, ha spiegato che no, lui non mollerà, e che la sentenza definitiva della Cassazione era sbagliata, spiegando a tutti la sua innocenza. 
Il dibattito si apre – tra i cattolici – sulla lunga stagione di apertura di credito di cui Berlusconi ha goduto specie tra le gerarchie cattoliche italiane. Una riflessione, alla luce di vent’anni di esperienza, di leggi ad personam, di conflitto tra istituzioni e – oggi – di fronte ad una condanna definitiva per frode fiscale, va probabilmente fatta. Famiglia Cristiana apre idealmente le danze, ma si sa che non è mai stata tenera con l’ex Presidente del Consiglio.
Interessante allora la lettura di due interventi sul blog VinoNuovo.it:
Aldo Maria Valli (Vino Nuovo, 3 agosto)  con un duro “j’accuse” alla gerarchia cattolica in primis:
“Dov’erano i cattolici quando il guitto destabilizzava lo Stato con le sue battaglie ad personam? Dov’erano quando inebetiva gli italiani con i suoi circenses televisivi? Dov’erano quando separava la morale privata da quella pubblica infrangendo così uno dei pilastri della dottrina sociale della Chiesa? Dov’erano quando, palesemente e senza vergogna, divulgava con il proprio comportamento l’idea che con la ricchezza sia possibile guadagnarsi l’impunità?”.
Gli risponde, con inquietudine Roberto Beretta (Vino Nuovo, 5 agosto):
“Io non so se questa fiducia “a occhi chiusi” di una parte certamente sana del mondo cattolico sia dovuta – come insinua Valli – all’esagerata accentuazione dell’anticomunismo in cui sono cresciute tante generazioni; indubbiamente sì. Ma io ci metterei anche altri ingredienti storico-culturali: l’atavica diffidenza clericale verso la democrazia; i residui di antistatalismo derivanti dalla “questione romana”; una scarsissima educazione civica, magari sotto forma di separazione tra diritto e morale; la tendenza a influire sulla cosa pubblica attraverso lobbies, che poi inevitabilmente agiscono con la logica assai poco etica del voto di scambio; il vizio di delegare tutto al partito dei “nostri”, che poi ha sempre ragione qualunque cosa faccia: quasi come si fa con il tifo sportivo…” Temi che investono il mondo cattolico e il suo rapporto con la storia d’Italia. Anzi un problema, quello di una lettura condivisa della storia, comune a tutta la società italiana: laica e cattolica, di destra e di sinistra, borghese o operaia. 
Ora Berlusconi dovrebbe preoccuparsi di una successione politica del suo progetto, specialmente se vuole davvero salvarlo dalle sue sorti personali, quali che siano. In fondo l’aver contribuito a definire i termini di una alternanza alla guida del Paese è un “merito”, dopo i primi 60 anni di democrazia bloccata rappresentati dalla Prima Repubblica. Ma sono scelte che dovrebbero dimostrare un amore per il Bene Comune, inteso davvero come corresponsabilità alla guida dell’Italia.

L’ex senatore e costituzionalista, Stefano Ceccanti su Avvenire (5 agosto) è sicuro che l’interdizione scatterà: vale dunque la pena proseguire con questa frizione costante tra piazza e istituzioni così come tra poteri dello Stato, tirando – indirettamente – il Colle per la proverbiale “giacchetta”?

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