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Giovani e lavoro: con “Youth Guarantee” l’Ue finanzia il futuro

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Simone Sereni - pubblicato il 02/08/13

Presto legge, il pacchetto lavoro del Governo. Il piano Ue che lo finanzia impone una drastica riforma del sistema dei centri per l’impiego

Il pacchetto di misure per il rilancio dell’occupazione giovanile, varato dal Governo a fine giugno, ha passato il vaglio del Senato senza modifiche sostanziali e ora aspetta solo il via libera della Camera. Ma Pubblica Amministrazione e imprese sono pronti a sfruttare questa opportunità? 
La situazione è questa. Il tasso di disoccupazione dei giovani tra i 15 e i 24 anni secondo gli ultimi dati Istat è pari al 39,1% ed è in crescita. Dall’altro lato, siamo un Paese in cui domanda e offerta di lavoro, nonostante la crisi, faticano ad incontrarsi. Per esempio, secondo la Fondazione studi consulenti del lavoro, “ci sono 150.000 posti disponibili di lavori che nessuno cerca e che nessuno vuole” come falegnami, panettieri e sarti (Italia Oggi, 20 giugno). Infine, secondo l’Istituto per lo sviluppo della formazione professionale (Isfol), il 37,2% degli italiani che tra il 2003 e il 2012 hanno trovato un’occupazione la devono ad “amici, parenti e conoscenti” e in generale ai cosiddetti canali informali. Come spiega Emilio Reyneri, sociologo dell’Università Milano Bicocca “soltanto quando tutte le reti informali non hanno prodotto effetto entra in campo l’intermediazione privata e pubblica” e alla fine della filiera “ai centri per l’impiego arrivano i casi più critici e complicati” ai quali si offre più assistenza di base che lavoro (Panorama, 24 luglio).



Insomma, è vera la crisi economica globale, è vera la disoccupazione, ma i dati ci dicono anche che ci sono margini da sfruttare sia dal punto di vista della formazione e sia dell’intermediazione al lavoro. 
Il piano Youth Guarantee dell’Unione Europea, ai cui fondi ha inteso attingere il pacchetto lavoro del Governo (quasi 1,5 miliardi dal 2014), è molto esigente proprio su questi due versanti: l’Italia, infatti “deve impegnarsi a garantire ai giovani” (nel nostro caso la fascia di attenzione è 18-29 anni) un’offerta “qualitativamente valida di lavoro, di proseguimento degli studi, apprendistato o tirocinio” entro 4 mesi dall’uscita dal sistema d’istruzione o dalla perdita di un impiego (Il Sole 24 Ore, 23 maggio).



Il sistema dei centri per l’impiego in questa partita diventa evidentemente strategico. E qui arriva qualche preoccupazione. Perché in Italia, a parte alcuni picchi positivi, i centri per l’impiego appaiono sostanzialmente inefficienti: circolano cifre diverse, ma non sono più di un 3% degli occupati coloro che hanno trovato lavoro grazie al sistema pubblico, a cui peraltro si rivolgono pochissimi solo un terzo dei disoccupati italiani. Si tratta oggi di un sistema tutto sommato capillare e con un discreto numero di addetti; ma – come scriveva Dario Di Vico – “esiste una querelle tra Regioni e Province” su chi lo debba governare. È anche vero che “i Centri riescono a malapena a tenere dietro agli adempimenti amministrativi” in particolare legati per esempio alla cassa integrazione (Corriere della Sera, 17 luglio).

L’Italia infatti, oltre a essere uno dei Paesi europei che “spende meno in politiche per il lavoro rispetto al Pil” (1,7%), destina l’80% di questa spesa alle politiche passive, gli ammortizzatori sociali, e solo il 20% alle politiche attive (Il Sole 24 ore, 3 giugno). Insomma, turiamo le falle come possiamo ma investiamo poco nel futuro. Ora l’Ue di fatto ce lo impone.


“L’idea del governo” ha spiegato il sottosegretario al Welfare, Carlo Dell’Aringa a colloquio con Giusy Franzese “è quella di realizzare un’Agenzia nazionale che dovrebbe federare le varie agenzie regionali con compiti di indirizzo, definizione dei livelli minimi delle prestazioni, valutazione e monitoraggio”. In un sistema in cui sarà determinante lo scambio di informazioni “tra i centri per l’impiego e associazioni, sindacati, scuole” e anche la collaborazione con le agenzie private. “Si può studiare un meccanismo – spiegava Dell’Aringa – secondo il quale, una volta divise le categorie di lavoratori per grado di occupabilità, il centro per l’impiego si rivolga alle agenzie private, con una sorta di bando, remunerando quelle che riescono a sistemare con contratti di almeno sei mesi i casi più complicati” (Il Messaggero, 30 giugno).

L’Italia ha 4 mesi per sfruttare al meglio questa grande occasione.

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