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Lo stupro come arma di persecuzione anticristiana

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Lucandrea Massaro - pubblicato il 31/07/13

Intervista alla portavoce di “Aiuto alla Chiesa che Soffre”, Marta Petrosillo, che racconta il dramma delle donne violentate per la loro fede in Gesù
La persecuzione religiosa, in particolare verso i cristiani – i più colpiti tra i gruppi religiosi – è un tema che difficilmente prende le prime pagine dei giornali, tranne quando i casi diventano eclatanti oppure di fronte a statistiche che non permettono di restare indifferenti, eppure lo stillicidio, specie tra Africa e Asia, è quotidiano e sempre più aspro, nel tentativo non troppo velato di epurare interi paesi dalla presenza cristiana, presenza spesso plurisecolare. 
In modo non differente da quanto accadeva nei Balcani negli anni '90, una delle armi di questa “guerra” è lo stupro. Le donne (a volte le bambine) delle minoranze cristiane subiscono violenza sessuale, e la conversione forzata dovuta all'obbligo di sposare i propri rapitori. I paesi dove – apparentemente – è aumentata la violenza e la persistenza di questi fenomeni sono il Pakistan e la Nigeria, e la regione indiana dell'Orissa, e se nei primi due casi è l'Islam a dimostrarsi ostile, nell'ultimo è la maggioranza indù a ritenere la piccola comunità cristiana come un corpo estraneo. Oggi si aggiungono Siria ed Egitto. Aleteia ne ha parlato con la portavoce – Marta Petrosillo – di “Aiuto alla Chiesa che soffre” (ACS) che da oltre 10 anni studia queste situazioni, propone progetti di solidarietà e organizza veglie di preghiera per le comunità cristiane oppresse. 
Marta Petrosillo, anno dopo anno ACS fornisce i dati delle persecuzioni contro i cristiani, innanzitutto: che trend ha questo fenomeno?
Petrosillo: Purtroppo non è un fenomeno che sta finendo. L'ultimo nostro rapporto, presentato nell'ottobre 2012, registra un aumento della consapevoelzza del diritto alla libertà religiosa, ma anche un aumento dei fenomeni sia nel numero che nella loro gravità. I fedeli più colpiti sono i cristiani. Stime difficili ma ci sono circa 200 milioni di cristiani che subiscono quotidianamente limitazione alla propria libertà religiosa. Degli oltre 130 paesi monitorati, abbiamo notato che nei 49 paesi a maggioranza islamica ritroviamo anche un alto numero di casi di discriminazione e violenza. Ritroviamo una forte pressione dell'Islam in Nigeria, Sudan, Repubblica Centrafricana, Mali, Ciad, Kenya verso le comunità cristiane. Anche dopo la "Primavera araba" ci sono state in Nord Africa delle difficoltà: i ragazzi hanno chiesto più democrazia, ma i gruppi maggiormente organizzati sono a forte caratterizzazione religiosa come i Fratelli Musulmani o gruppi Salafiti. E vediamo aumentare le discriminazioni. Un altro dato che abbiamo riscontrato è la persecuzione perpetrata dagli Stati, in cima alla classifica: Cina, Corea del Nord, Vietnam. E' inoltre peggiorata la situazione in Tagikistan. Il quadro complessivo è fosco. 
In molti paesi, dalla Nigeria, alla Siria, all'Egitto, passando per il Pakistan e l'India, alla persecuzione si aggiunge la violenza sessuale nei confronti delle donne, in molti casi di ragazze poco più che adolescenti: un segnale molto grave da un lato di misoginia (non dissimile dai fenomeni di femminicidio in Occidente), dall'altro per il nesso molto stretto che esiste tra donne ed evangelizzazione: è un modo per colpire la Chiesa al suo cuore?
Petrosillo: E' un modo per colpire la comunità cristiana. C'è un disprezzo verso le minoranze e verso le donne, non solo cristiane, basti pensare a quanto accade in Pakistana anche alle minoranze indù. E' anche un tentativo di fare forzosamente proselitismo demolendo l'identità cristiana di quelle comunità. In molti casi c'è una ignoranza di fondo (in Pakistan ad esempio c'è un tasso di analfabetismo pari al 60%, ndr) che permette di sfruttare più facilmente le comunità di fedeli. A marzo – per esempio – un diverbio tra due cristiani si è trasformato in un linciaggio “grazie” all'intervento di un imam che ha gridato al peccato di blasfemia muovendo i propri fedeli contro la comunità cristiana. 
Spesso vengono emesse delle fatwe, in Siria è stato giustificato e promosso lo stupro sia contro le donne cristiane che contro quelle alawite, dichiarandolo lecito insieme allo stupro di massa. In Egitto c'è un aumento di rapimenti a scopo di conversione: 500 ragazze copte cristiane hanno subito questo trattamento. Così come c'è stato un aumento di discriminazioni e di accuse di blasfemia, una novità per quel paese almeno fino all'arrivo di Morsi. I cristiani appogiano l'esercito in Egitto: preferiscono una dittatura politica che una religiosa, dopo Morsi molti copti hanno abbandonato il paese. Per le ragazze è difficile sottrarsi da questi gruppi che le rapiscono, le famiglie sanno ma non riescono a liberarsi a causa della pressione psicologica dei rapitori e di leggi non chiare. In Pakistan sono circa 700 le ragazze che ogni anno vengono stuprate dai datori di lavoro che poi le ricattano dicendo che altrimenti verranno accusate di “blasfemia” o di aver fatto sesso fuori dal matrimonio (peccato che spesso prevede la lapidazione, ndr).
Cosa può fare l'Occidente, l'Italia, l'Europa per fermare queste persecuzioni?
Petrosillo: Serve un impegno in termini di analisi e monitoraggio: è importante che sempre più paesi creino organismi che si occupano di questo problema. Mi capita spesso, quando faccio le interviste ai sacerdoti, che molti chiedano che i paesi che vogliono avere rapporti commerciali loro, di tenere presente il tema della libertà religiosa come condizione per concludere gli accordi. 
Voi avete contatti con diverse realtà nel mondo, può raccontarci qualche episodio specifico?
Petrosillo: Purtroppo di storie in questo senso ce ne sono molte. Lavorare con ACS mi permette di entrare in contatto con molte di queste situazioni. Ad esempio c'è una religiosa – che noi supportiamo – che lavora con le donne violentate in Pakistan, che cerca di aiutarle a ricostruirsi una vita e a superare lo stigma sociale dello stupro. Queste ragazze sono spesso rassegnate, perché cresciute con la consapevolezza di non essere degne di considerazione sia in quanto cristiane, sia in quanto donne. Sono bambine, e la religiosa mi raccontava che se lei chiede loro “cosa pensate ragazze?” loro rispondono “noi non dobbiamo pensare”. Quello che molto spesso queste donne chiedono è che la loro storia sia conosciuta, specialmente da altri cristiani perché vogliono sentirsi parte della Chiesa universale, vogliono sapere che c'è qualcuno che prega per loro. Prima ancora del sostegno economico, esse chiedono, vogliono sapere, se c'è qualcuno là fuori che le ama, perché spesso loro conoscono solo la situazione della persecuzione e dell'essere cittadini di serie B, prive di diritti.

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