"Sono incosciente, ma non ho paura. So che nessuno muore prima che venga la sua ora"
Giovedì 25 luglio, durante il viaggio a Rio de Janeiro, il Papa ha rilasciato in spagnolo a Gerson Camarotti, di GloboNews, una lunga intervista, andata in onda domenica 28 nel corso del programma «Fantástico» dell’emittente brasiliana Rede Globo. Diamo qui di seguito quasi per intero, in una nostra traduzione italiana, il testo dell’intervista, pubblicata integralmente in portoghese sul sito dell’emittente e in italiano su quello del nostro giornale. Traduzione curata dall’Osservatore Romano.
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Papa Francesco, lei è arrivato in Brasile ed è stato accolto con molto calore dai brasiliani. C’è una rivalità storica tra Brasile e Argentina, per lo meno nel calcio. Come mai ha ricevuto questo gesto d’affetto dai brasiliani?
Mi sono sentito accolto con un affetto che non conoscevo, molto calorosamente. Il popolo brasiliano ha un grande cuore. E la rivalità credo che ormai sia completamente superata. Perché abbiamo negoziato bene: il Papa è argentino e Dio è brasiliano.
È una grande soluzione, non è vero Santo Padre?
Mi sono sentito molto ben accolto, con grande affetto.
Santo Padre, in Brasile lei ha utilizzato un’automobile molto semplice. Si dice che lei ha persino rimproverato i sacerdoti che usano macchine di lusso nel mondo. Ha anche deciso di risiedere nella casa Santa Marta. Questa sua semplicità è una nuova indicazione che i sacerdoti, i vescovi e i cardinali devono seguire?
Sono cose diverse, bisogna distinguere e spiegare. L’automobile che uso qui è molto simile a quella che uso a Roma. A Roma uso una Ford Focus blu. Un’automobile semplice, che potrebbe avere un impiegato normale. Su questo punto, penso che dobbiamo dare testimonianza di una certa semplicità, direi addirittura di povertà. Il nostro popolo esige povertà dai sacerdoti. Lo esige nel senso buono del termine. Il popolo sente il suo cuore ferito quando noi che siamo consacrati siamo attaccati al denaro. È una cosa brutta. E veramente non è un buon esempio che un sacerdote abbia un’automobile ultimo modello, di marca. Lo dico ai parroci. A Buenos Aires lo dicevo sempre: è necessario che il parroco abbia una macchina, è necessario, perché nella parrocchia ci sono mille cose da fare, deve muoversi. Ma deve essere una macchina modesta. Questo per quanto riguarda l’automobile. Quanto alla decisione di vivere a Santa Marta, non è stato tanto per motivi di semplicità. Perché l’appartamento papale è grande, ma non è lussuoso. È bello, ma non ha il lusso della biblioteca del piano sottostante, dove si riceve la gente, con opere d’arte molto belle. È piuttosto semplice. Ma la mia scelta di vivere a Santa Marta è dipesa dal mio modo di essere. Non posso vivere solo. Non posso vivere chiuso. Ho bisogno del contatto con la gente. Allora, sono solito spiegarlo così: sono rimasto a Santa Marta per motivi psichiatrici, per non dover soffrire quella solitudine che non mi fa bene. E anche per motivi di povertà, perché altrimenti avrei dovuto dare al psichiatra tanti soldi… E questo non va bene. È per stare con la gente. Santa Marta è una casa dove vivono circa quaranta tra vescovi e sacerdoti che lavorano nella Santa Sede. Ha centotrenta stanze, più o meno, e sacerdoti, vescovi, cardinali e laici, ospiti a Roma, risiedono lì.. Io mangio nel refettorio comune. Vi faccio colazione, pranzo e cena. Incontro sempre persone diverse, e questo mi fa bene. È questa la ragione. E ora la regola generale. Credo che Dio ci stia chiedendo, in questo momento, più semplicità. È una cosa interiore, che chiede alla Chiesa. Il concilio già aveva richiamato l’attenzione su ciò. Una vita più semplice, più povera.