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Cosa succede dopo la GMG?

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Chiara Santomiero - pubblicato il 27/07/13

Per don Armando Matteo, la GMG deve insegnare uno stile di accoglienza verso i giovani nelle parrocchie

Mentre la Gmg di Rio entra nel cuore del suo programma con l’appuntamento della Via Crucis insieme a Papa Francesco sulla spiaggia di Copacabana, non è inutile gettare lo sguardo a ciò che avverrà al termine di queste giornate carioca piene di colore e di allegria (purtroppo non di sole…): come restituire alle parrocchie e alle diocesi la carica di entusiasmo messa in campo dall’incontro dei giovani del mondo con il pontefice? Come dare quotidianità alla forza del suo insegnamento senza dissiparne l’energia missionaria? Aleteia ha chiesto “lumi” a don Armando Matteo, attento osservatore dell’universo giovanile e autore del libro “La prima generazione incredula”.

Come si concilia il dato di una partecipazione alla messa domenicale dei giovani tra 18 e 30 anni non superiore al 15% con la grande partecipazione, anche a distanza, alla Gmg?

Matteo: Da sempre la Gmg offre ai giovani un codice più vicino al loro mondo dove è presente la cifra delle emozioni, dell’essere protagonisti dell’evento, della percezione di una grande attenzione nei loro confronti. Altri elementi della forza della Gmg sono le catechesi preparate con cura, le celebrazioni liturgiche di vario tipo, non solo la Messa e anche uno spazio apposito per le confessioni. Soprattutto coinvolge l’esperienza della dimensione della cattolicità con la partecipazione di giovani di tutto il mondo e quello della festa, dello stare insieme come comunità che riceve il “sigillo” della presenza del Papa

Quanta distanza c’è tra l’esperienza della Gmg e il quotidiano?

Matteo: Se volessimo usare una formula sintetica potremmo dire che “la Gmg ha fatto storia ma non scuola”. Il rischio è che una volta tornati in parrocchia si cominci a preparare la prossima Gmg, tralasciando la pastorale ordinaria. Infatti nelle nostre comunità c’è una scarsa attenzione alla pastorale scolastica e universitaria così come non si persegue il raccordo con gli insegnanti di religione  che sono quelli che avvicinano la maggior parte degli adolescenti. Manca anche una catechesi giovanile che metta al centro l’incontro con la Sacra Scrittura piuttosto che le tematiche della bioetica o della dottrina sociale, pure importanti. Le celebrazioni domenicali magari sono frettolose, senza canti, non si avverte la presenza festosa della comunità. Un giovane che entra in parrocchia rischia di non sentirsi atteso.

Perchè succede?

Matteo: Di sicuro non per cattiva volontà: scontiamo un problema di struttura. Anche Papa Bergoglio lo ha accennato in un’occasione ricordando come la Chiesa italiana abbia goduto in passato di una grande presenza di sacerdoti, religiose, laici che le hanno consentito un’attività ramificata in 26 mila parrocchie. Infatti in Italia c’è una tradizione bellissima di messa domenicale celebrata in ogni quartiere o frazione. Però il calo delle vocazioni non ci consente più di conservare questa struttura e le celebrazioni assicurate “a pioggia” rischiano di non assicurare il senso di festa della comunità che si ritrova per benedire il dono della vita. Anche l’età media elevata dei sacerdoti o dei catechisti crea distanza dai giovani, non per il dato anagrafico in sé – Papa Francesco è l’esempio del contrario – ma perché se il sacerdote deve occuparsi di più parrocchie o di una parrocchia grande, dove può trovare il tempo per avvicinarsi all’universo giovanile, ai suoi codici, alla sua musica? Come può avere l’occasione per andare a trovare i giovani universitari della sua parrocchia? Non bisogna dimenticare che dietro la Gmg ci sono anni di lavoro e di preparazione anche per scegliere i gruppi musicali, il logo, l’inno. Chi vuole confrontarsi con questa “generazione digitale” ha bisogno di tempo per prepararsi con l’aiuto di tutta una comunità che rimette al centro l’attenzione per i giovani. Forse i banchi vuoti dei giovani in chiesa non ci scuotono ancora abbastanza.

Quali sono le opportunità che invece offre sul piano pastorale?

Matteo: La Gmg potrebbe diventare lo “stile” diffuso di una comunità ecclesiale, già a partire dalla partecipazione corale. A Rio ci sono 7 mila ragazzi italiani e 40 vescovi, rispettivamente lo 0,01% della popolazione giovanile e il 25% dell’episcopato, con tanti sacerdoti e religiose. Occorre tutta una comunità che si prenda più cura dei giovani nel mondo della scuola, dell’università, del lavoro. Mi ha colpito che Papa Francesco in volo verso Rio abbia sottolineato la vera questione che interessa i giovani e cioè la mancanza di lavoro. Una generazione senza lavoro, ha detto il Papa, è una generazione mortificata nella sua dignità perché deve dipendere da altri: si tratta di una questione antropologica fondamentale. La capacità del Papa di leggere i segni della sofferenza umana dei giovani gli consente anche di entrare immediatamente in sintonia con loro: è uno stile che anche le nostre comunità dovrebbero apprendere.

Qualche consiglio alle parrocchie e alle diocesi per non disperdere questa esperienza?

Matteo: E’ essenziale un atteggiamento: non abituiamoci all’assenza dei giovani nelle parrocchie, nelle associazioni e nei movimenti. Sicuramente si tratta di una sfida non facile ma bisogna coltivare il desiderio di questo incontro perché, come in amore, quando l’assenza diventa desiderio, allora questo apre gli occhi e consente di individuare le strategie. A Rio ci sono 7 mila giovani e molte bellissime iniziative sono state preparate nelle diocesi per partecipare a distanza alla veglia con il papa, ma sono sempre pochi rispetto ai giovani che non incontriamo. Per andare loro incontro bisogna conoscere ciò che leggono, i film che vedono, la musica che ascoltano. Bisogna essere presenti in modo serio sul web – molti siti parrocchiali non consentono di interagire – e nei social media. Bisogna rimettere in primo piano nell’anno pastorale il nostro grande tesoro cioè la Bibbia che apre all’incontro con Gesù e permettere alla liturgia di essere se stessa, cioè il luogo della festa. Non siamo ancora riusciti a scrollarci di dosso l’idea del “precetto” domenicale mentre l’assemblea è il luogo dove i fedeli si riuniscono e con la benedizione di Dio riaccolgono il dono della vita iniziando una nuova settimana. In fondo ciò che il cristianesimo può offrire sono proprio i luoghi per riscoprire la bellezza della vita pur nella sua caducità e tornare a benedire se stessi e ciò che ci è toccato in sorte.

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