Nel Santuario dedicato alla Vergine nera nel 2007 i vescovi latinoamericani stilarono un documento che contiene la bussola dell’attuale pontificatodi Andrea Tornielli
La Chiesa deve «liberarsi di tutte le strutture caduche che non favoriscono la trasmissione della fede». È ciò che si legge al numero 365 del documento finale di Aparecida, il santuario mariano più importante del Brasile, dove sei anni fa si svolse l’ultima assemblea generale dell’episcopato latinoamericano. Un appuntamento che ha consacrato a livello continentale la leadership dell’allora arcivescovo di Buenos Aires Jorge Mario Bergoglio e ha trasformato quel documento in un manifesto programmatico del pontificato.
Francesco ha voluto significativamente aggiungere una tappa del suo viaggio brasiliano in questo santuario e oggi sarà qui, nella grande basilica dove si venera una statuetta della Madonna nera alta 40 centimetri, ritrovata in tre pezzi nell’ottobre 1717 nel fiume Paraiba da tre pescatori. La tradizione sostiene che è nera perché vuole rimanere accanto agli oppressi e il fatto di essere stata pescata in pezzi ricordava la vita spezzata dalla schiavitù.
La riunione dei vescovi latinoamericani nel 2007 fu la prima assemblea tenuta in un santuario mariano e l’essere quotidianamente a contatto con i fedeli – ogni anno sono milioni – secondo Bergoglio aveva condizionato i lavori dei vescovi, facendo loro comprendere l’importanza della devozione e della pietà popolare. «Celebrare l’eucaristia insieme al popolo è diverso che celebrarla tra noi vescovi separatamente. Questo ci ha dato vivo il senso dell’appartenenza alla nostra gente, della Chiesa che cammina come popolo di Dio, di noi vescovi come suoi servitori».
Il documento finale, spiegava il futuro Papa, «per la prima volta» non partiva «da un testo base preconfezionato ma da un dialogo aperto», per «ricevere quello che veniva dal basso». I vescovi dell’America Latina impararono a conoscere in quelle settimane il modo di lavorare del cardinale Bergoglio. La sua capacità di ascoltare e di armonizzare gli interventi. Alcuni di quei vescovi sarebbero diventati suoi elettori nel conclave del marzo scorso. Si può dire che l’elezione di del Papa scelto «dalla fine del mondo» abbia avuto inizio qui.
Il documento di Aparecida contiene le parole chiave e i messaggi che ora Francesco trasmette a tutta la Chiesa. A partire dall’invito alla missione: «Per rimanere fedeli bisogna uscire. Rimanendo fedeli si esce. Questo dice in fondo Aparecida», sintetizzava Bergoglio. «Nel Vangelo», ripeteva il cardinale francescano Aloísio Lorscheider, oggi scomparso, che qui fu arcivescovo, «gli incontri più belli di Dio con l’umanità avvengono sulla strada. Secoli di storia di cristianesimo vissuto non ci dicono altro». Da quei testi emerge l’immagine di una Chiesa che dà il primato alla misericordia, che cerca di facilitare la fede delle persone più che avere i problema di regolarla, e che vuole essere vicina a chi soffre «come una madre». Una Chiesa missionaria libera dalla burocrazia e dalle strutture inutili, che si presenta con un volto gioioso e misericordioso, e non con «evangelizzatori tristi, impazienti e ansiosi».
E anche quell’esplicito riferimento alla necessità di liberarsi delle strutture inutili, che non servono a trasmettere la fede, ma possono finire per ostacolarla, è diventato un leit-motiv del pontificato, con il Papa latinoamericano impegnato a riformare la Curia romana a partire dai suoi organismi economico-finanziari, come lo Ior.