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La Vergine che distribuisce la dote alle ragazze povere

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Giulia Spoltore - pubblicato il 16/07/13

Nell’Annunciazione di Antoniazzo Romano conservata nella chiesa di S. Maria sopra Minerva a Roma

Antonio Aquili detto Antoniazzo Romano[1], pittore poco noto ai più, fu con la sua impresa familiare uno dei dominatori della cultura artistica romana della seconda metà del Quattrocento. Copista di icone, esponente notabile dell’accademia di S. Luca, ma soprattutto pittore preferito dell’élite romana, delle confraternite, della diplomazia spagnola e dei nobili della campagna laziale, aveva esordito sotto Paolo II Barbo (1464-1471) e lavorò mentre la Cappella Sistina veniva decorata dalle maestranze fiorentine chiamate nella capitale da Sisto IV Della Rovere (1471-1484).

Mentre le committenze pontifice erano quasi tutte sbrigate da pittori stranieri (preferibilmente di nazionalità toscana e umbra), a Roma Melozzo da Forlì e il nostro Antoniazzo si dividevano le committenze per opere mobili e per cicli di affreschi in cappelle e palazzi. Il monopolio di tali commissioni cadde nelle mani di Antoniazzo e la sua cerchia alla morte di Melozzo (1494).

Questa raffinatissima Annunciazione fu dipinta e lavorata da Antoniazzo tra il dicembre 1499 e il marzo 1500 in vista del Giubileo dello stesso anno indetto da Alessandro VI Borgia (1492-1503). La confraternita dell’Annunziata, fondata dal cardinal Torquemada, al fine caritativo di dotare le giovani fanciulle povere, la commissionò per la sua cappella in S. Maria sopra Minerva, chiesa domenicana di Roma. Dotare le giovani povere era un atto di carità di grande impatto sociale: la dote garantiva alle fanciulle l’opportunità di trovare un consorte evitando loro di doversi autosostentare attraverso attività non dignitose, ma molto comuni, come la prostituzione.

L’iconografia dell’Annunciazione di Antoniazzo è “disturbata” da alcune varianti: la Vergine non è in alcun modo interessata alla presenza dell’angelo annunciante e dalla discesa dello Spirito Santo, inoltre sembra aver interrotto da molto la lettura dell’Antico Testamento come dimostra la distanza dal leggìo e il corpo completamente ruotato. La Madonna è altresì occupata a consegnare la dote alle giovani vestite di bianco e ordinatamente acconciate che le vengono presentate dal cardinal Torquemada. Il gruppo delle giovani accompagnate dal cardinale (abbigliato con l’abito domenicano, ma la cui carica curiale è segnalata dal galero cardinalizio) è proposto secondo una scala proporzionale più piccola, escamotage medievale per differenziare l’ordine umano da quello divino.

Non si rifà all’eredità medievale il fondo oro, punzonato come se fosse un drappo damascato, ma si ricollega piuttosto al gusto per l’opulenza decorativa interpretata in senso anticlassico[2] in voga negli anni del papato Borgia. Antoniazzo da un canto sembra aggiornarsi sui modelli fiorentini come lo stesso collega Melozzo (e forse anche tramite lui) per quanto riguarda i tipi dell’angelo e della Vergine, ma appare legato ad un retaggio attardato, addirittura medievale, nella composizione. Tuttavia si fa inventore di un’iconografia nuova espressa in termini di gusto apprezzabili dalla cultura del suo tempo e che i suoi successori (dediti ad una pittura umanistica e filoclassicista) avrebbero considerato provinciali.

Il rapporto tra l’iconografia, luogo di collocazione e committente sembra ben palesato: la confraternita dell’Annunziata, istituto che si occupa di dotare le fanciulle povere, commissiona un quadro con l’Annunciazione che mostri anche l’opera caritativa della confraternita nella cappella patrocinata dallo stesso istituto. La confraternita è qui rappresentata sinteticamente dall’effige del suo fondatore, Juan de Torquemada, defunto nel 1468.  Ma qualcosa nei soggetti non torna. Non era la confraternita a raccogliere e distribuire l’elemosina? Qui, di fatto, è la Vergine a consegnare il sacchetto con il denaro, mentre il Torquemada (ovvero la confraternita) presenta semplicemente le fanciulle.

Molto comune in quei tempi è un’analogia che oggi a noi sfugge: la Vergine spesso nei dipinti è metafora della Chiesa fondata da Cristo e così come la Vergine nell’annunciazione riceve lo Spirito Santo affinché il Verbo si faccia carne (Gv 1, 14), così la Chiesa riceve lo Spirito Santo per poter operare nel mondo e compiere la sua missione[3]. Il dipinto va letto nella prospettiva della Provvidenza: “l’uomo propone e Dio dispone” recita un vecchio modo di dire ed è proprio quello che troviamo in questo dipinto. L’uomo propone di fare l’elemosina, ma solo Dio, tramite la Grazia che passa attraverso la Chiesa può trovare i mezzi materiali e spirituali per compiere la proposta dell’uomo. La Chiesa in quanto investita dello Spirito Santo è mediatrice presso il Padre (ed in questo ritroviamo un’altra analogia con la Vergine) e ad essa l’uomo si rivolge ed in essa agisce affinché le sue opere di beneficenza divengano opere di carità.

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1) Per approfondire si può consultare Cavallaro Anna, Antoniazzo Romano e gli antoniazzeschi, Udine, 1992; Paolucci Antonio, Antoniazzo Romano, Firenze, 1992; Rossi Sergio, Valeri Stefano, Le due Rome del Quattrocento, Roma, 1997; Bernardini Maria Grazia, Il ‘400 a Roma. La rinascita delle arti da Donatello a Perugino, Milano, 2008.
2) Strinati Claudio, Le stelle d’oro in Piermatteo D’Amelia, in Le due Rome del Quattrocento, Roma, 1996.
3) Si pensi alla Madonna del parto di Piero della Francesca indagata in Calvesi Maurizio, Nel grembo dell’arca, in Art e dossier, 33, 1989.

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