Ne ho parlato con un giovane missionario italiano. Ero sorpreso, gli ho chiesto un parere. “Cosa ti devo dire? All’inizio ero sorpreso anche io. Poi devi mettere da parte ciò tutto ciò che hai studiato, letto, imparato, ipotizzato in Italia, e devi fare i conti con la realtà. Che è questa: bella, perché la fede qui non è un corollario, ma il centro della vita delle persone, ma complessa. Molto complessa”.
Il Brasile è un continente. Le differenze che passano tra un indio Yanomani che vive al confine con il Venezuela senza conoscere l’uso della ruota e un gaucho di Porto Alegre, con il cognome polacco, che mangia currasco tutti i sabato sera, sono immense. Sono assai più simili un pescatore norvegese e uno di Mazara del Vallo.
In Brasile, vale la pena ricordarlo, da diversi anni, si combatte una guerra di religione tra cattolici e sette cristiane di variegata origine protestante. Una guerra a bassa intensità, ovviamente, ma che marca i territori e divide le comunità. Per comprenderlo basta un telecomando. La tv è il campo di battaglia preferito. Sono decine le emittenti nazionali e regionali che, tutti i giorni, a tutte le ore, offrono predicatori più o meno credibili, e tutti, ovviamente, portatori dell’unica, indiscutibile luce salvifica.
La Chiesa Cattolica brasiliana, le va dato atto, si è lanciata nella mischia. La sua presenza in tv è significativa e di qualità. Se sul canale 8 trovi il telepredicatore della chiesa “Dio è amore”?, sul canale 9, troverai TV Aparecida, in diretta da San Paolo, il cuore della cattolicità brasiliana, con una telepredica da audience garantita.
Si tratta di una chiesa cattolica coraggiosa, audace, a volte forse sfrontata. Ma la gente la apprezza per questa, non si sente sola e partecipa. A Rio, dalla prossima settimana, ce lo dimostreranno.