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Fratel Vincenzo Luise, il “camorrista di Dio”

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Credere - pubblicato il 15/07/13

Il 14 luglio sono cominciare le celebrazioni per i 400 anni dalla morte di San Camillo de Lellis. Vi raccontiamo la storia di un missionario in Burkina Faso

di Severino Marcato

«Da piccolo ero un vero camorrista» dice di sé fratel Vincenzo Luise, nato a Spaccanapoli 79 anni fa. E c’è da crederci: sempre per la strada con i ragazzini a combinare qualche piccolo guaio, Vincenzo era la disperazione dei genitori. Poi un cambiamento radicale di vita e la scelta di farsi religioso camilliano. Sempre camorrista, ma questa volta “camorrista di Dio”: missionario in Burkina Faso da circa 40 anni.

Fratel Vincenzo non ha dimenticato le sue origini. Barba e capelli incolti, vestito lacero e trasandato su cui spicca una grande croce rossa, una guida spericolata nell’immensa e desolata periferia della capitale Ouagadougou, dove opera. Per fratel Vincenzo l’ospedale è la strada, le capanne, i poveri. Gli ultimi, insomma. Nel suo fuoristrada entrano sette-otto scugnizzi che lo accompagnano per distribuire medicine nelle capanne, curano con lui le piaghe dei lebbrosi, comprano yogurt per una donna in fase terminale arsa dalla febbre, portano a una malata grave un sacchetto di fragole, l’ultimo desiderio prima di morire.

Fratel Vincenzo si prende cura di circa 800 lebbrosi e dei loro familiari, provenienti da Burkina, Mali e Costa d’Avorio, di 450 donne – abbandonate nei villaggi o raccolte per la strada, perché accusate di stregoneria (in realtà solo anziane o un po’ fuori di testa) – e, come se non bastasse, di una cinquantina di persone con disturbi mentali; procura loro riso e miglio per l’unico misero pasto di mezzogiorno, del sapone, una coperta. E a Natale un pacchetto di caramelle.

Come fa a sostenere tutte queste persone? Se lo chiedi all’interessato risponde levando gli occhi in alto. «Guagliò, ma tu ci credi alla Provvidenza? Adesso che hai visto tutto questo anche tu ti farai Provvidenza, lo racconterai agli amici e lo scriverai». Un viaggio con lui tra i lebbrosi nei villaggi è un insegnamento che non si può scordare. Sono abbracci riconoscenti a questo frate che cura piaghe orrende, in corpi con volti, mani e piedi martoriati dalla lebbra. A coloro che hanno perso gli arti egli procura protesi artificiali e carrozzelle: sorridono sempre. Chi non sorride sono i malati gravi di Aids. Fratel Vincenzo se ne occupa da anni, dopo aver convinto i superiori a costruire un ospedale proprio per la cura specifica di questa malattia. Quasi tutto l’ospedale è stato costruito con l’aiuto di italiani: otto padiglioni con 64 posti letto, un centro ricerche, una casa per gli operatori sanitari e gli ospiti, una cappella.

Il centro di accoglienza e di solidarietà è dedicato alla Madonna di Fatima. C’è una cappella con un grande Cristo in legno, frutto del lavoro di un artista locale. «Vedi – dice fratel Vincenzo – la mano destra è più grande di quella sinistra. Non è un errore dell’artista. Gliel’ho suggerito io. Perché la mano destra è la mano della Madonna, che accarezza i malati». La stessa carezza che ho visto fare a Corinne, 24 anni, ormai solo due occhi imploranti, distesa su una stuoia in una poverissima casa della periferia di Ouagadougou. A Corinne erano già mancati il marito e due bambini. Ne avrebbe lasciato uno orfano di lì a poco. Sul suo volto Vincenzo ha posato la mano callosa, mano di Cristo che perdona, la grande mano della Madonna che accarezza e consola.

Fratel Vincenzo ha molti amici in Italia che lo aiutano. Anche Famiglia cristiana ha contribuito, attraverso la rubrica “Il caso della settimana”, alla costruzione di uno degli otto padiglioni dell’ospedale. Il centro Madonna di Fatima è un ospedale in piena regola: caso raro in Africa, i pasti vengono serviti dalla mensa interna e non preparati dai parenti.

La visita ai malati terminali di Aids è una stretta al cuore. Fratel Vincenzo saluta e li abbraccia uno ad uno con amore di padre e di madre, li accarezza, li incoraggia. Ma anche lui, sempre con la battuta pronta e il sorriso sulle labbra, non regge a tanto dolore. I Camilliani hanno fior di medici e di scienziati, come padre Salvatore Pignatelli e padre Jacques Simporé, che collabora con il professor Fernando Aiuti per le ricerche sull’Hiv. Proprio in Burkina Faso padre Jacques e i suoi collaboratori hanno scoperto un nuovo ceppo di Hiv, tipologia antigenica diversa da quelli conosciuti. Padre Jacques è la mente, lo scienziato nel vero senso della parola, mentre fratel Vincenzo è il cuore, l’anima di tante iniziative a favore degli ammalati. Sa farsi ben volere. Aiuta tutti e tutti lo aiutano.

Un giorno siamo andati presso il genio militare per chiedere la perforazione di un pozzo con la grande trivella in dotazione all’esercito. «Ma fratel Vincenzo, non possiamo farlo ora, dobbiamo farne prima uno nella casa del Presidente della Repubblica». E fratel Vincenzo, con la sua parlata franco-partenopea convince il graduato ad anticipare la perforazione del pozzo. «Il Presidente può aspettare, i miei ammalati no!».

Fratel Vincenzo è un santo all’antica, con il cuore che brucia e con le mani bucate. Per lui c’è solo la Provvidenza. I suoi confratelli hanno, diciamo così, i piedi per terra e prima di avviare una struttura ci pensano due volte. Lui invece no: dice che “quello lassù”, se la vuole, dovrà pensare anche a procurare i mezzi perché funzioni. È la fede dei visionari, dei pazzi o dei santi. Quando squilla il telefono, dice sempre: «Madonna mia, quanti poveri, quante miserie: non riesco ad arrivare a tutti!». È il suo modo di chiedere aiuto. E gli amici gli vanno incontro. Perché fratel Vincenzo vive povero tra i poveri, con il suo solito saio con la grande croce rossa.

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