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Papa Francesco ci insegna quanto può valere la povertà

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Jeffrey Bruno

mons. Bruno Forte - pubblicato il 08/07/13

La sfida concreta della solidarietà in una società del benessere in crisi

(Il Sole 24 Ore, Domenica 16 Giugno 2013)

"Non ti dimenticare dei poveri!”: fu questo l’invito che un amico fraterno, il cardinale francescano Claudio Hummes, fece a Jorge Mario Bergoglio al momento dell’elezione a vescovo di Roma e successore di Pietro. Papa Francesco non ha dimenticato quell’invito, ne ha fatto anzi una delle priorità del magistero della parola e della vita, che offre con fedeltà quotidiana alla Chiesa. Mi sembra che valga la pena riflettere su questo richiamo, che rivela una caratteristica tutt’altro che secondaria del pontificato di questo Papa “venuto dalla fine del mondo”. In particolare mi pare importante considerare tre aspetti della povertà: il suo volto negativo, quale si esprime nella miseria che affligge una larghissima parte dell’umanità, raramente posta sotto i riflettori dei “media”; la povertà come valore e come scelta di vita; e, infine, la solidarietà che l’attenzione ai poveri esige, con le forme in cui è chiamata a tradursi per essere vera ed efficace.

La povertà come miseria offende la dignità dell’essere umano: come tale va combattuta e vinta. Perché questo avvenga, bisogna conoscere la condizione di privazione e di autentica miseria in cui vivono tanti esseri umani. Sono i loro volti, le loro storie che devono sfidarci. È per questo che, parlando qualche giorno fa agli studenti delle scuole gestite dai Gesuiti in Italia e Albania, Papa Francesco ha detto: “Non si può parlare di povertà, di povertà astratta, quella non esiste! La povertà è la carne di Gesù povero, in quel bambino che ha fame, in quello che è ammalato, in quelle strutture sociali che sono ingiuste. Andate, guardate là la carne di Gesù…”. È chiaro da queste parole che i poveri e la miseria non costituiscono una categoria astratta nella mente di questo Papa, che non ha caso ha scelto il nome dell’amico di Sorella Povertà: quando parla dei poveri, lo fa certamente ricordando volti e situazioni concrete, a cui si è fatto prossimo nella sua vita di discepolo di Gesù, impegnato a seguirlo nei contesti spesso tanto complessi e contraddittori dell’America Latina. Si sente perciò nelle sue parole la forza di quella “carne di Gesù” che egli ha imparato a riconoscere e amare nei poveri.

Riferendosi ad esempio allo spreco alimentare, presente alla grande nei Paesi della “affluent society” e che sembra ancora caratterizzare vaste fasce sociali, pur in questo tempo di vacche magre, il Vescovo di Roma non ha esitato a dire che il cibo buttato via è un furto fatto ai poveri. Mentre la società del benessere sembra tramontare sotto i colpi della crisi e delle menzogne che l’hanno generata – a cominciare dall’illusione che economia virtuale della finanza ed economia reale della produzione fossero la stessa cosa – questo Papa dal cuore grande dà voce a chi non ha voce e ricorda a tutti noi, troppo spesso distratti perché concentrati solo sulle nostre misure, il vasto mondo di chi non ha niente o ha pochissimo per sopravvivere. Già questo invito semplice e concreto a fare della miseria degli ultimi una cartina da tornasole su cui verificare la verità dei nostri valori e delle mete cui tendiamo, mi sembra uno straordinario pungolo al cambiamento degli stili di vita e degli atteggiamenti del cuore.

Proprio così, Papa Francesco ci aiuta a scoprire la povertà come valore. Lo ha fatto con parole toccanti parlando a braccio alle migliaia di ragazzi e di giovani presenti all’incontro accennato: “Non lasciatevi rubare la speranza dallo spirito del benessere che, alla fine, ti porta a diventare un niente nella vita! Il giovane deve scommettere su alti ideali: questo è il consiglio. Ma la speranza, dove la trovo? Nella carne di Gesù sofferente e nella vera povertà. C’è un collegamento tra le due”. Come dire: dov’è il tuo tesoro, lì è il tuo cuore! Se riponi in Cristo la Tua fede e orienti a Lui le Tue scelte di vita, allora non potrai inseguire il denaro come valore cui finalizzare ogni cosa. Allora capirai che c’è un tesoro ben più grande di un conto in banca, ed è il dono di sé vissuto per gli altri e la condivisione di ciò che hai con chi non ha nulla. Ne consegue uno stile, fatto di speranza teologale e di carità vissuta, di sobrietà di costumi e di gioia di dare. La falsa immagine della persona riuscita, identificata con chi si conforma ai modelli standard della società dei consumi, deve cedere il posto alla verità di chi si mette in gioco per gli altri e non esita a sacrificarsi, pagando di persona. La maschera soddisfatta e suadente dell’uomo o della donna di successo deve impallidire davanti al coraggio umile di chi impara a conoscere i poveri e li ama donandosi e sentendo come offesa a loro ogni ostentazione di ricchezza o di potere.
Non si tratta, insomma, di sembrare poveri, ma di esserlo nelle scelte profonde del cuore per dare il primato al vero tesoro, la carità ricevuta da Dio e vissuta per gli altri.

C’è infine il volto attivo di questa povertà scelta per amore: la solidarietà verso chi è debole e l’impegno al servizio della giustizia per tutti. Anche qui non si tratta di inseguire sogni ideologici che lasciano le cose come sono o peggio le appesantiscono della violenza tipica di chi vuol cambiare il mondo per conformarlo alla propria testa. “La povertà – diceva ancora Papa Francesco ai giovani che lo ascoltavano rapiti – ci chiama a seminare speranza, per avere anch’io più speranza. Questo sembra un po’ difficile da capire, ma ricordo che Padre Arrupe una volta parlava di come si deve studiare il problema sociale e diceva: Non si può parlare di povertà senza avere l’esperienza con i poveri”. Voler fare qualcosa di vero per gli altri e farlo: ecco la sfida concreta della solidarietà. Di grandi parole e di “méga récits” il Novecento è stato prodigo. È ora il tempo dei fatti: bisogna rilanciare il volontariato, la passione per il bene comune, la volontà di promuovere la persona umana in tutta la sua dignità e in ogni situazione in cui questa viene calpestata. Merita ascoltare le parole dette dal Papa qualche giorno fa in una delle omelie di Santa Marta: “Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture. Ciò significa che il Regno di Dio va proclamato con la semplicità… che lascia posto al potere della Parola di Dio”, e non di qualsivoglia grandezza umana.

Il servizio ai poveri “nasce dalla gratuità, dallo stupore della salvezza che viene… quello che io ho ricevuto gratuitamente, devo darlo gratuitamente”. Del resto, ha proseguito Papa Francesco, “San Pietro non aveva certo un conto in banca”, e quando dovette pagare le tasse, “il Signore lo ha mandato in mare a pescare”. Chi testimonia il Vangelo deve poter dire: “Non ho ricchezze, la mia ricchezza è soltanto il dono che ho ricevuto, Dio”. È questa “povertà” che “ci salva dal diventare solo organizzatori o imprenditori”. Anche le opere della Chiesa vanno vissute �
�con cuore di povertà… perché la Chiesa nasce da questa gratuità ricevuta e annunziata”. Una Chiesa che diventi “ricca” o che vada a perdere la “gratuità”, è una Chiesa che “invecchia” e, alla fine, muore. E questo mi sembra valga non solo per la Chiesa…

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