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Perché (con fede) diciamo per sempre

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Louise ALLAVOINE/CIRIC

Vinonuovo.it - pubblicato il 04/07/13

Facciamo sempre tanti discorsi astratti sul matrimonio. Due giovani che stanno per sposarsi da oggi ci raccontano che cosa significa per loro

di Luca Bortoli e Sabrina Lavorini

Far vedere la bellezza del matrimonio e della famiglia fondata sull'amore tra un uomo e una donna. Ce lo siamo detti tante volte che per «difendere» questa verità oggi così messa in discussione questa è la strada maestra. Eppure facciamo tutti lo stesso tanta fatica ad aprire sul serio il libro delle nostre storie per far diventare la concretezza della propria esperienza (fragilità comprese) una testimonianza. Così abbiamo deciso di cogliere un'opportunità: una delle nostre firme – Luca Bortoli – tra qualche settimana si sposa. E tra le mille incombenze che scandiscono sempre questo genere di vigilie, ha accettato insieme a Sabrina di tenere per noi un diario di questo conto alla rovescia. Pagine attraverso cui far emergere come guardano al matrimonio due giovani di oggi, cresciuti tra la parrocchia e l'associazionismo cattolico ma anche in un contesto culturale nel quale il «per sempre» diventa sempre più controcorrente.Quella che proponiamo oggi è la prima puntata introduttiva di questo percorso (G.Ber.)

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«Una volta compiuta la scelta davanti al Signore – ripeteva don Severino prima di partire missionario in Georgia – è come dire: "Noi ci siamo sentiti chiamati e abbiamo seguito questa strada, ma Tu ne sei corresponsabile. Adesso questo è anche affar tuo"».

Ciò di cui parlava il sacerdote era il matrimonio. Il matrimonio cristiano.

A guardarci indietro quasi non ci crediamo nemmeno noi. Un veneto e una toscana a Roma insieme praticamente per caso. Certo, quel seminario del settore giovani di Azione cattolica aveva un tema accattivante, ma chi l'avrebbe immaginato che a una due giorni formativa del gennaio 2010 sull'affettività, intitolata "L'amore conta", avremmo incontrato il nostro futuro rispettivamente marito e moglie?

Da lì sono iniziati sei mesi di mail e telefonate, prima una volta a settimana e poi sempre più spesso, giorno per giorno, nel tentativo di scoprire qualcosa di più su quella voce che dall'altro capo del filo parlava diritto al cuore. In quel periodo abbiamo depositato mattoni di carta nelle fondamenta di una relazione che non aveva altri mezzi che la parola per costruirsi: le lettere scritte a mano, imbucate e attese hanno destrutturato a poco a poco una serie di barriere sociali e culturali che spesso veicoliamo anche con semplici modi di fare.

A luglio 2010, però, siamo arrivati al bivio fatidico: proseguire o lasciar perdere in nome della distanza, della fatica, dei molti impegni che già affollavano le agende di un allora aspirante giornalista e un medico specializzando. Weekend a Massa, casa di Sabrina: sole, mare, Cinque terre… La "frittata" era fatta. Tre anni di fidanzamento e di lontananza per la gioia di Trenitalia (!), tre anni di felicità, di nostalgia, di batticuore e di amore. E ora eccoci qui a due mesi dal matrimonio.

La sensazione di trovarci di fronte a qualcosa di più grande di noi, da quando lo scorso settembre abbiamo deciso di sposarci, non ci ha davvero mai abbandonato. Però ci è stato chiaro fin da subito che scegliere di unirci in matrimonio in chiesa, di celebrare noi quel sacramento di fronte a un sacerdote e a una comunità, avrebbe significato prendersi per mano e iniziare a coltivare in due quella relazione con Dio che da sempre ci accompagna e a cui non riusciamo a dare altro nome che fede.

Già "fede" e "sempre". Un binomio che letto così, semplicemente alla luce della ragione, mette davvero paura. Eppure alla base della scelta che ci renderà marito e moglie il prossimo 31 agosto ci sono proprio queste due parole. Da una parte la fede, che assume però anche i tratti della fiducia nei confronti della persona che abbiamo accanto, dall'altra quel "per sempre" che intimorisce, ma che pure oggi sentiamo come la via che ci renderà nel tempo più uomo e più donna.

Un uomo e una donna che si affidano. Perché sentiamo, in qualche modo, di non bastare a noi stessi, di non potercela fare senza il sostegno di Dio e di tutti i nostri amici che ci accompagnano. Nel cammino che stiamo facendo insieme come Luca e Sabrina il sacramento rappresenta una tappa. Fondamentale, ma pur sempre una tappa. Di certo, da quel momento sentiremo ancor più chiara su di noi la benedizione di Dio e sapremo, con i brividi lungo la schiena, che il nostro stare insieme dirà la sua presenza.

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