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Il cardinal Van Thuân, martire delle ideologie, testimone del perdono

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Lucandrea Massaro - pubblicato il 04/07/13

Conclusa l'inchiesta diocesana, si aprono le porte per la beatificazione del porporato vietnamita

E' stato un testimone credibile, e tutti lo hanno riconosciuto come tale, a partire da Giovanni Paolo II che definì la vita del cardinale François-Xavier Nguyên Van Thuân come: “Una vita spesa nell’adesione coerente ed eroica alla propria vocazione”).

Ora a poco più di dieci anni dalla sua morte a Roma, si conclude la causa diocesana di beatificazione. Ed è un momento atteso da moltissimi, a cominciare dai suoi connazionali vietnamiti che egli – specie nella lunga prigionia – esortò con l'affetto e l'esempio. Lontano da ogni nazionalismo, non poteva che cercare la comunione e la pace per la sua patria terrena divisa dalla guerra e dell'ideologia, esortando i cattolici vietnamiti a praticare l'amore anche verso la nazione, la sua cultura, la sua unità. In “Cinque pani e due pesci” (Edizioni San Paolo) scrive: «Aiuta la tua patria con tutta l'anima. Sii fedele ad essa. Difendila col tuo corpo e il tuo sangue. Costruiscila con il tuo cuore e la tua mente. Condividi la gioia dei tuoi fratelli e la tristezza del tuo popolo. Un Vietnam. Un popolo. Un'anima. Una cultura. Una Tradizione. Cattolico vietnamita, ama mille volte la tua patria! Il Signore te lo insegna, la Chiesa te lo domanda. Possa l'amore del tuo Paese essere tutt'uno col tuo sangue che scorre nelle tue vene».

François-Xavier era un sacerdote, nato a Hué nel 1928, divenne Vescovo di Nha Trang prima e consacrato arcivescovo di Saigon nel 1975, pochi giorni prima della conquista della capitale del Vietnam del Sud da parte delle armate del Nord del generale Ho Chi Minh, Van Thuân fu per 13 anni prigioniero del regime comunista prima di essere liberato e esiliato. In Vaticano, Van Thuân sarà prima segretario e poi presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, e verrà creato cardinale da Giovanni Paolo II nel 2001. E' morto nel 2002 (Vatican Insider, 2 luglio)

Il postulatore della sua causa, il dr. Waldery Hilgeman, in una intervista alla Radio Vaticana ha raccontato alcuni aneddoti che permettono di inquadrare la figura del cardinale: “E’ stato prigioniero sotto il regime comunista in Vietnam. E’ stato incarcerato senza un legittimo processo. Questa carcerazione è durata 13 anni, di cui nove in isolamento totale, senza mai rinnegare la sua fede, senza mai accettare compromessi. Il cardinale è molto famoso per una croce pettorale, che lui una volta liberato faceva vedere molto in giro, e che è diventata il simbolo della sua prigionia e anche il simbolo della sua spiritualità. Ha costruito questa croce durante la sua prigionia, con pezzetti di legno che gli erano stati forniti proprio dalle sue guardie, ed è poi riuscito a costruire una catena con il filo elettrico. Una volta diventato cardinale, ha continuato ad indossare questa croce, simbolo della sua prigionia e simbolo della sua spiritualità” (Radio Vaticana, 2 luglio).

Quando Van Thuân venne chiamato da Giovanni Paolo II: “Monsignore, le vorrei chiedere di predicare questi esercizi alla Curia romana”. E lui con grande stupore rispose: “Santità, ma io sono stato in prigione, non sono aggiornato dal punto di vista teologico. Cosa potrei dire?” E il Papa rispose prontamente: “Ci porti la sua esperienza”. Gli esercizi sono stati pubblicati nelle “Lettere pastorali sulle orme del Concilio Vaticano II” editi dalla Libreria Editrice Vaticana in uscita in questi giorni.

“Le lettere pastorali testimoniano lo spirito conciliare che animava il pastore Van Thuân nel suo ministero a Nha Trang – nota il cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, nella presentazione dell’opera –. Possiamo rilevare quattro prospettive delle Lettere che rispecchiano chiaramente tale spirito: la Chiesa nel mondo, cioè la prassi di fede di una comunità radicata nel contesto socio-economico, politico e religioso del Paese; un laicato attivo nella Chiesa e nella società; la difesa della dignità umana illuminata dalla fede; e tutto ciò in una prospettiva dialogica aperta e riconciliatrice” (Korazym, 3 luglio).

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