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Quale criterio permette di definire “contemporanea” una forma d’arte?

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Rodolfo Papa - pubblicato il 20/06/13

Solo ciò che è aniconico, o non tradizionale nella forma, nel contenuto o nel materiale?

Spesso l’arte contemporanea appare veicolata da linguaggi settoriali e da configurazioni di sistemi chiusi che non delineano panorami e non aprono orizzonti, ma focalizzano un particolare, sovente in modo da farlo apparire unico. Talvolta il punto di vista di tali ricostruzioni è apertamente “militante”, ovvero mosso dall’interesse per un determinato gruppo o movimento artistico. Tuttavia, ad ogni posizione ideologica è preclusa una analisi obiettiva della realtà, capace di restituire la complessità e la varietà delle strade battute da tutte le infinite correnti artistiche che animano il mondo delle arti, nella contemporaneità.

Si impone, anzi, di declinare al plurale il termine “arte”, di fronte al proliferare di discipline e movimenti, per evitare di ridurre l’arte a una sua sola espressione; tuttavia le arti sono tali perché hanno una relazione con l’arte in generale. Sospendiamo, per adesso, di percorrere questa lunga strada della relazione tra arte e arti, e soffermiamoci invece sull’aggettivo “contemporaneo”, cercando di analizzarlo e di comprenderlo.

Il termine contemporaneo non può, per sua natura, essere un attributo distintivo, capace di definire una determinata corrente, ma si tratta di un termine che dovrebbe costituire un riferimento temporale, entro un contesto. Spesso, invece, l’aggettivo “contemporaneo” appare come un marchio attribuito ad alcune correnti in modo privilegiato, con l’esclusione pregiudiziale di ogni espressione che non rientri nel confine tracciato da una specifica teoria dell’arte “contemporanea”, costituendo, quasi per negativo, la categoria di “arte non contemporanea”, ovvero anacronistica. Ma il termine dovrebbe, più correttamente, indicare semplicemente una nozione di tempo. Da un punto di vista storiografico è equivoco definire “arte contemporanea” opere degli anni Cinquanta del secolo passato, mentre sarebbe più appropriato chiamarle con il nome del movimento a cui appartennero, o della disciplina a cui afferiscono, pittura, scultura o altro.

Mi si potrebbe obiettare che ormai il termine contemporaneo è storiograficamente acquisito per indicare un determinato periodo storico; tuttavia questo significherebbe avere esaurito la semanticità del termine, limitandone la referenza a un esclusivo periodo storico, e generando, di contro, nozioni ancora più equivoche come il “post-contemporaneo” che può definire il sentimento di fine della contemporaneità come categoria critica, ma non esaurisce minimamente il termine in senso temporale.

Il prefisso “post”, inoltre, si carica di significati. Sembra voler indicare la constatazione di una crisi, della fine, anche con gli echi emotivi della sconfitta, dell’insuccesso, oppure può connotare un’epoca di epigoni, incapaci di smarcarsi dai maestri; in ogni caso, sembra che un certo periodo storico costituisca un inaggirabile punto di riferimento: ciò che è prima è “pre” ciò che è dopo è “post” contemporaneo. Sembra giustificabile tale posizione, al di fuori di una certa militanza critica? Del resto, è storicamente naturale che dopo un momento di “avanguardia”, segua un periodo di normalizzazione; come dopo i movimenti di conquista militare e dopo il superamento di un confine, segue poi una fase antropologicamente ricorrente di normalizzazione e di regole, fatta da coloni che lavorano entro il confine acquisito per annetterlo definitivamente alla nazione conquistatrice. Tuttavia se questa fase non sa crearsi le sue regole, si assiste al disfacimento del territorio tanto faticosamente conquistato.

Se invece diamo un nome ai tanti movimenti del Novecento, che non sono più a noi contemporanei, possiamo ridonare al termine la sua vitalità semantica, e liberare la storiografia artistica da una sorta di vincolo pregiudiziale. Infatti, se si attribuisce la “contemporaneità” a una sola determinata corrente artistica, si condannano di contro e ingiustamente tutte le altre ad una forzata antistoricità, che peraltro contraddice le spinte libertarie proprie della cosiddetta “contemporaneità” del Novecento. Del resto
né gli storici né i critici possono attribuirsi il potere di dare la patente di “contemporaneità” ad alcuni per escluderne degli altri, senza peraltro giustificarne i criteri.

Tutte le teorie dell’arte, prodotte dalla fine dell’Ottocento fino ad oggi, hanno reclamato il diritto sacrosanto dell’artista di autodeterminarsi, però, nel contempo, man mano che tali idee hanno acquisito importanza, hanno di fatto operato un genocidio mediatico e culturale di tutte le teorie artistiche percepite come avversarie. E questo è lentamente rifluito nell’immaginario comune, tanto che in ambiti quotidiani e non specialistici si sente oggi usare il termine “contemporaneo” come una sorta di confine razziale tra le discipline.
Tutto ciò che è aniconico, o non tradizionale nella forma, nel contenuto o nel materiale è considerato “contemporaneo”, il resto, soprattutto se è figurativo, è classificato come “non contemporaneo”.

Si tratta di un assurdo cronologico, prima che logico, in cui è facile cadere, e costituisce una sorta di apertura di un percorso che, di equivoco in equivoco, conduce alla confusione dei generi, delle discipline, delle tecniche, alla costruzione di confini invalicabili, fino all’incapacità di vedere e giudicare con le proprie facoltà.

Per esempio, una serena analisi di quanto sta accadendo nel panorama mondiale dell’arte, dovrebbe segnalare una incredibile vitalità di espressioni artistiche bollate a tavolino come non-contemporanee. Nella pittura, nel contenitore generico del “figurativo”, assistiamo ad una esplosione vitalissima di movimenti e correnti che stanno animando il settore di questo disciplina in tutto il mondo: dall’Ucraina agli Stati Uniti, dal Giappone all’Italia, dall’Inghilterra alla Cina …. Si tratta di esperienze che con motivazioni diverse, teorie diverse e finalità diverse, riguardano tutti i cinque continenti, e non si può non tenerne conto.
Inoltre moltissime accademie nel mondo da circa un decennio hanno ripreso a studiare approfonditamente Michelangelo e tutto il Rinascimento. Invece in Italia ci sono progetti per eliminare la disciplina “Anatomia artistica” dai piani di studio delle Accademie d’Arte. E tutto questo è ignorato da molte riviste specializzate, dai musei di arte contemporanea, dai critici e dai
mass media.

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