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Le idee confuse sull’aldilà e il rifiuto cristiano della reincarnazione

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Card. Angelo Amato - pubblicato il 14/06/13

La credenza nella reincarnazione cela un rifiuto di lasciarsi salvare ed esprime in sostanza la volontà di autoredenzione dell'uomo

E' un fatto innegabile, che anche nella cultura catechistica dei cristiani si nota una grande vaghezza per quanto riguarda l'aldilà, tema non frequente nella predicazione, nella pastorale e nell'istruzione religiosa, dove le questioni sulle realtà ultime vengono sottaciute, a tutto vantaggio delle tematiche socio-culturali di impatto immediato e direttamente verificabili.

Dalle indagini sociologiche risulta, ad esempio, che per quanto riguarda la prospettiva della vita dopo la morte, le credenze sembrano essere molto deboli, esistendo un alto livello di incertezza, che spesso rasenta il cinquanta per cento degli intervistati. [1]

Rifuggendo dalla fede nella risurrezione, si preferisce pensare a un qualcosa dopo la morte, condividendo credenze esoteriche e vaghe, piuttosto che risposte definite e concrete come quelle della fede cristiana. Da una recente inchiesta italiana risulta, che, poco più del trenta per cento degli intervistati, crede fermamente nella risurrezione; un abbondante quarantadue per cento resta incerto; mentre i contrari sono poco più del ventisei per cento. In concreto il sacerdote celebrante, alla domenica, avrebbe di fronte una platea in cui quasi la metà manifesta dubbi o, per fortuna meno spesso, non crede del tutto nella prospettiva della vita eterna. [2]

La comprensione della vita eterna viene intesa soprattutto come immortalità dell'anima, e si fa fatica a credere nella finale risurrezione dei corpi. Insomma, questioni che un tempo venivano condivise pacificamente, oggi vengono accolto ed elaborate con disincanto e scetticismo. L'universo poetico della Divina Commedia di Dante oggi non è più agevolmente pensato, data la diversa comprensione scientifica dell'universo. Da notare, infine, che quasi il dieci per cento intende la vita eterna anche come reincarnazione.

A tale proposito forse conviene ricordare che, secondo un'inchiesta dell'istituto Gallup del 1983, circa un quarto degli europei crede nella reincarnazione. Questa teoria, che vede nelle rinascite una sempre maggiore purificazione dello spirito umano, influenzò anche Goethe e Darwin. Ovviamente l'Occidente ha rielaborato in modo positivo l'idea della reincarnazione, che, di per sé, nell'ambito delle religioni orientali, costituisce una realtà negativa, dalla quale fuggire: lo scopo degli orientali, infatti, è uscire dalla ruota eterna e implacabile della reincarnazione.

Il Vaticano II rigetta questa teoria, quando parla dell'unico corso della nostra vita terrestre (Lumen Gentium n. 48). Le motivazioni per cui la Chiesa respinge la reincarnazione sono sostanzialmente due. Anzitutto, ogni uomo è una persona assolutamente unica e originale, creatura voluta da Dio nella sua completezza di anima e di corpo. Il corpo, poi, non è la prigione dell'anima, ma è destinato anch'esso alla risurrezione della carne, sull'esempio del Corpo risorto. C'è, poi, una seconda ragione. La cultura contemporanea crede che non basti una sola esistenza terrena per sostenere il peso di una decisione di portata eterna, per cui le eventuali rinascite potrebbero aiutare a correggersi e perfezionarsi progressivamente. Questa concezione, che sembra indulgente e benevola, in realtà contiene una grande dose di disumanità, in quanto fa ricadere sull'uomo l'intera responsabilità della sua salvezza eterna. La credenza nella reincarnazione cela un rifiuto di lasciarsi salvare ed esprime in sostanza la volontà di autoredenzione dell'uomo. Non si intende aprire la porta a Colui che è via, verità e vita.

Il rifiuto cristiano della reincarnazione è quindi basato sull'esperienza cristologica fondante, espressa da san Paolo con la celebre frase: “Per me vivere è Cristo e morire è un guadagno” (Fil 1,21), rimodulata da buon ladrone con la supplica: “Gesù, ricordati di me quando sarai nel tuo regno” (Lc 23,42). Cristo è per il battezzato il suo vivere, il suo morire, il suo salvarsi. [3]

Alla diffusa ignoranza religiosa sulla vita eterna, quindi, bisogna rispondere che essa è una nuova qualità di esistenza, pienamente immersa nell'amore di Dio, che, liberandoci dal male e dalla morte, ci pone in comunione senza fine con tutti i fratelli e le sorelle che partecipano della stesso Amore. [4]

L'idea di vita eterna come sinonimo di staticità ripetitiva e noiosa è inadeguata, dal momento che la vita eterna – stando al dato biblico che la paragona a un banchetto, alle nozze, alla città illuminata dall'Agnello –, significa pienezza di vita e di felicità per i singoli, per la Chiesa, per l'umanità e per il cosmo. L'eternità, come comunione con Dio Trinità e con tute le creature liberate dalla corruzione del peccato e della morte, è oggetto sì di speranza, ma anche di esperienza già in questa vita, mediante le piccole gocce di eternità, che irrorano la nostra esistenza, come, ad esempio, l'esperienza dell'amore, del perdono, della bellezza, della scoperta di piccole o grandi verità, della gioia di condividere quello che siamo e possediamo. [5]

——
1) A. CASTEGNARO, Gli uomini d'oggi credono ancora nella vita eterna?, in “Credere oggi” n. 173 (2009/5) p. 6-18.
2) Ib. p.11.
3) Cf. C. SCHÖNBORN, La risposta cristiana alla sfida della reincarnazione, in CONGREGAZIONE PER LA DOTTRNA DELLA FEDE, Temi attuali di escatologia, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2000, p.11-119; W. KASPER, Reincarnazione e cristianesimo, in ib. p. 120-126.
4) BENEDETTO XVI, Angelus del 1 novembre 2006.
5) Cf. RICCARDO BATTOCCHIO, La vita eterna nella testimonianza biblica e nella tradizione cristiana, in “Credere oggi” n. 173 (2009/5) p. 19-33.

[TESTO TRATTO DAL VOLUME DI ANGELO AMATO, "IL PARADISO. DI CHE SI TRATTA? (LIBRERIA EDITRICE VATICANA)]

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