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Vaticano sui migranti forzati: accoglienza e solidarietà non respingimenti

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Chiara Santomiero - pubblicato il 06/06/13

Un documento invita gli Stati ad aprire le frontiere a chi fugge da guerre e lavoro forzato e condanna la piaga vergognosa del traffico di esseri umani

Rifugiati, apolidi, sfollati, vittime del traffico di esseri umani, persone oggetto di contrabbando in violazione delle norme sull’immigrazione: nel mondo contemporaneo si stima siano almeno 100 milioni le persone costrette a stare lontane dalle proprie case per conflitti, persecuzioni, disastri naturali, necessità di trovare condizioni di vita dignitose fuori dai propri Paesi. Al dilatarsi delle situazioni di necessità, complice anche la crisi economica internazionale, corrisponde l’inasprimento delle normative di molti governi in materia di immigrazione e spesso anche l’irrigidimento dell’opinione pubblica. Nasce da questo contesto il documento del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti e del Pontificio Consiglio Cor Unum,“Accogliere Cristo nei rifugiati e nelle persone forzatamente sradicate. Orientamenti pastorali” che torna sulla riflessione già pubblicata nel 1992 con il documento “I rifugiati, una sfida per la solidarietà”.

"Purtroppo – afferma senza fare sconti il testo degli Orientamenti pastorali -, ancheil dibattito circa i richiedenti asilo è divenuto un forum in vista di elezioni politiche e amministrative, che ha alimentato tra l’elettorato attitudini ostili e aggressive nei loro confronti. Questo atteggiamento ha avuto effetti negativi sulle politiche verso i rifugiati dei Paesi in via di sviluppo, i quali hanno ritenuto che la comunità internazionale non abbia affrontato a sufficienza l’onere della condivisione dei costi sociali ed economici, connessi con gli arrivi di persone in cerca di asilo nel proprio territorio. Ciò ha avuto come risultato una diminuzione di ospitalità e di assenso a ricevere considerevoli popolazioni di rifugiati per un indefinito periodo di tempo. La negativa connotazione data ai richiedenti asilo e ai rifugiati stessi ha accresciuto xenofobia, a volte razzismo, paura e intolleranza nei loro confronti”. Il documento rileva anche che si è sviluppata una “cultura del sospetto”, che ha messo in correlazione “asilo e terrorismo”.

Invece di considerare le ragioni per cui sono stati costretti a fuggire – ha affermato il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti presentando il documento nella sala stampa della Santa Sede – la sola presenza di rifugiati o di persone deportate è avvertita come problema”. A fronte di tutto questo, la Chiesa sente il dovere di manifestare la sua vicinanza ai migranti in quanto “il servizio pastorale della Chiesa è l’espressione tangibile della sua fede”. Un servizio che si esprime in forme diverse che vanno dall’aiuto materiale nelle situazioni di crisi al farsi interprete delle necessità di chi non ha voce, all’assistenza spirituale, alla promozione di ciò che può contribuire a rafforzare singoli e famiglie. Tutti nella comunità cristiana, ha proseguito Vegliò sono chiamati “ad ascoltare l’appello di Cristo ad accogliere lo straniero” che oggi si presenta nel volto di 16 milioni di rifugiati, quasi 29 milioni di sfollati interni a causa di conflitti, 15 milioni di profughi a motivo di pericolo e disastri ambientali, 15 milioni di profughi a causa di progetti di sviluppo e 12 milioni di apolidi “persone quasi invisibili, senza documenti di identità, con limitate opportunità di ottenere un posto di lavoro o di studiare”.

Il filo rosso del documento vaticano, ha spiegato il presidente del dicastero per i migranti, è il richiamo affinché ogni politica, iniziativa o intervento in questo ambito si ispiri al principio della centralità e della dignità della persona umana. E’ questo principio a far sì che “l’assistenza prestata dalla comunità internazionale, dai singoli Stati e dagli organismi ecclesiali,
non sia considerata un’elemosina ma un atto di dovuta giustizia, da una parte, e un’autentica testimonianza di misericordia dall’altra”.

Il documento indica precise soluzioni: a chi fugge da violenza e disordine sociale occorrerebbe garantire “uno status di protezione sussidiaria” mentre le famiglie dei rifugiati dovrebbero godere “del rispetto della vita privata e familiare ed avere la possibilità di ottenere il ricongiungimento nel Paese di asilo con i propri familiari; guadagnarsi degnamente la vita con un giusto salario e vivere in abitazioni degne di esseri umani; i loro figli dovrebbero ricevere istruzione e assistenza medica adeguate”. “Per quanto riguarda i richiedenti asilo e altre persone forzatamente sradicate trovate in difficoltà o in necessità di aiuto in mare – si legge in un ulteriore passaggio – le Convenzioni internazionali richiedono che siano soccorsi e condotti in un luogo sicuro. Soltanto quando la persona in pericolo è giunta in luogo sicuro (e questo non può essere identificato con la nave di soccorso), la sua richiesta di autorizzazione ad entrare nel Paese di arrivo o la domanda di asilo può essere esaminata. Occorre aver cura che il principio di non refoulement sia rispettato anche in questi casi, che possono includere la realtà dei flussi misti”.

Critico il documento vaticano sulle strutture di accoglienza dei migranti:sempre più spesso i richiedenti asilo e gli apolidi sono detenuti in zone delimitate, che comprendono prigioni, campi chiusi, strutture di detenzione o zone di transito aeroportuali, dove la libertà è considerevolmente ridotta. La detenzione è frequentemente applicata come strumento di asilo o di politica migratoria”. Il risultato è che “campi originariamente intesi come alloggi temporanei sono diventati ‘residenze’ permanenti, dove i rifugiati restano per anni, generalmente limitati nei loro movimenti, senza la possibilità di svolgere attività lavorativa per guadagnarsi da vivere e forzati dunque alla dipendenza. In queste situazioni la comunità internazionale sembra prestare loro scarsa attenzione, o semplicemente accettare il loro ‘deposito’ come una condizione normale”.

Ma il torto più grande che è stato loro fatto – ha aggiunto il cardinale Robert Sarah, presidente di Cor Unum- è spesso il furto della speranza”. Per questo la comunità cristiana deve sentirsi impegnata ad accogliere i migranti non solo per le necessità materiali ma anche con l’accompagnamento spirituale “per uscire dalla logica della violenza, del risentimento e del dolore” e tornare a sentirsi parte della famiglia umana, impegnati, come tutti, “nell’edificazione della pace e della civiltà dell’amore”.

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