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Manifestazioni in Turchia: è una nuova “primavera”?


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Simone Sereni - pubblicato il 03/06/13

Giovani attivisti protestano per la cementificazione di Istanbul. La polizia interviene e ne scaturisce un movimento che da giorni fa vibrare il Paese

L’innesco è stata l’occupazione del parco Gezi di Istanbul da parte di un gruppo di giovani attivisti contrari all’annunciato abbattimento di 600 piante della grande area verde vicino a piazza Taksim; il progetto avversato prevede la costruzione di un nuovo, ennesimo, centro commerciale e residenziale. Poi la repressione. Così la Turchia, improvvisamente, si è incendiata. “Quella che lunedì era la protesta di centinaia di giovani” si è tramutata rapidamente “in una rivolta di massa laica contro il presidente Erdogan, che ricorda l’ondata ribelle delle primavere arabe iniziate con le proteste in Tunisia” (Famiglia cristiana, 2 giugno).



Intanto, la cronaca dice che dopo la prima scintilla di Istanbul si sono susseguite nel Paese numerose altre manifestazioni, una novantina secondo alcune fonti, molte di più secondo fonti governative. Non sono mancati violenti scontri che hanno prodotto secondo Amnesty International un migliaio di feriti; “il bilancio degli arresti è salito a 1700”, secondo fonti governative che però parlano solo di “173 feriti”. La repressione della polizia è stata infatti immediata e molto dura; un atteggiamento prima minimizzato e poi ammesso con un cenno di scuse da parte del premier Erdogan, cui sono anche state chieste le dimissioni. L'Unione dei medici turchi, la Ttp, “ha accusato le forze dell'ordine di aver travolto e ucciso con un'auto un manifestante” il giovane ventenne militante di sinistra Mehmet Ayvitalis. “C'è mai stato un sistema multipartitico nei Paesi della primavera araba?". La domanda retorica del premier turco è comunque una risposta plausibile alle prime immediate associazioni tra la piazza Taksim di Istanbul e piazza Tahrir a Il Cairo (Il Sole 24 Ore, 3 giugno).

Le questioni in gioco in effetti sono diverse. C’è senz’altro strisciante la crisi del modello dello Stato laico turco, voluto da Atatürk, riconosciuto come il più Occidentale tra quelli mediorientali. Di pochi giorni prima della manifestazione di piazza Taksim l’approvazione della legge che limita la vendita delle bevande alcoliche dalle 22 alle 6 del mattino. Una norma di ordine pubblico, sulla carta, “percepita dalla parte più laica dell’opinione pubblica turca come l’ennesima indebita ingerenza reazionaria di stampo religioso nello stile di vita dei cittadini”. Secondo alcuni osservatori è in ballo “lo scontro fra due visioni opposte del ruolo della religione nella sfera pubblica, entrambe caratterizzate da scarsa tolleranza e poco spazio per la libertà religiosa”. Da una parte “un laicismo di Stato che aveva relegato la religione alla sfera privata e ostacolato le minoranze non islamiche”. Dall’altra parte il modello Erdogan, lontano dal fondamentalismo islamico, ma “essenzialmente una forma di teologia politica” che di fatto lascia comunque “poco spazio per le altre religioni e per la libertà delle persone” (Agensir, 3 giugno).

Forte anche l’insofferenza per l’autoritarismo del governo, visto che in piazza in poche ore sono scese “le realtà nazionaliste-kemaliste poi i kurdi, gli anarchici, attivisti Lgbt e perfino le tifoserie di Galatasaray e Fenerbahçe (storicamente avverse ma unite in questa battaglia)” (Vita, 3 giugno). Un fermento sociale avverso a una democrazia solo formale che è confermato da altri elementi, come il fatto che “la Turchia è tuttora uno dei Paesi al mondo con il maggior numero di giornalisti in carcere”. Inoltre, “la repressione violenta di una manifestazione di protesta da parte della polizia a Istanbul non è una grossa novità”. Resta comunque il dato che “la miccia che ha innescato le proteste” è stata “un piano per costruire l'ennesimo centro commerciale” in una città dove “strutture di questo tipo negli ultimi dieci anni sono spuntate come funghi”. Si protesta insomma contro quell'“islam degli affari” voluto da Erdogan, in cui “il volto della moderazione è sostanzialmente funzionale all'ingresso nei salotti buoni dell'economia internazionale” (Nuova Bussola Quotidiana, 3 giugno).

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