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Il Concilio Vaticano II e la pace del “papa buono”

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KNA-Bild/CIRIC

Chiara Santomiero - pubblicato il 31/05/13

Mons. Capovilla racconta alcuni retroscena interessanti legati al suo rapporto con Roncalli e alla sera della sua elezione a pontefice

Lei è stato per dieci anni segretario di Roncalli…

Capovilla: Per prima cosa io non mi considero segretario di papa Giovanni, confidente meno che meno, amico… non oserei usare termini del genere. Io uso un termine che ha usato lui dandolo a me “contubernale”, dal latino, cioè colui che vive mangiando un tozzo di pane al tavolo del suo signore e se è un sacerdote, un ecclesiastico, prega, celebra la Messa con lui, lo ascolta e solo se interrogato risponde. Il rapporto Roncalli-Capovilla, fin da Venezia, è stato sempre questo: io ti parlo con confidenza, come se parlassi con me stesso; se quello che dico ti piace, dici “molto bene, eminenza”; se avessi qualche riserva non devi dire “ah, no, non va bene”, ti interrogo io. Hai capito la pedagogia? Dal tuo silenzio, lui sa che non sei d’accordo. Poi ti interroga e tu puoi dire tutto ciò che hai nel tuo cuore, nella tua mente: quando hai finito di dare il tuo consiglio, lui dice “va bene, adesso sentirò anche altri”. Papa Giovanni amava sentire chi pensava in modo diverso da lui, che si esprimeva con libertà. Al di là di tradizionalisti e conservatori, per prima cosa c’era il rispetto dell’uomo e delle sue opinioni: non vuol dire che dopo fosse obbligato ad assumerle, ma era molto importante che la persona si potesse esprimere. Non è cominciato così il lavoro del Concilio Vaticano II? Una lettera, ampia, rispettosa, inviata a tutti i vescovi perché esprimessero la loro opinione riguardo a ciò che ritenevano fosse più urgente per la Chiesa di allora.

Quali altre caratteristiche segnavano papa Roncalli?

Capovilla: La sera della sua elezione, il 28 ottobre 1958, quando Roncalli rientrò dalla Loggia di S. Pietro raccontò che non era riuscito a distinguere molto della gente che era in piazza perché lo accecavano le luci e i fari della televisione. Nel tornare dentro, però, si era trovato faccia a faccia con la Croce che l’aveva preceduto al momento della benedizione: “mi è sembrato che Gesù mi guardasse e dicesse: ‘Angelino, hai cambiato nome e vestito, ricordati che se non rimani mite e umile di cuore, non vedrai niente. Né della vita della Chiesa, né della storia del mondo’”. Mite e umile di cuore, queste sono state le sue caratteristiche; il continuo immergersi nell’eterno, non nel contingente, nelle cose che passano. Ma come tutte le persone miti poteva diventare anche irremovibile. Quando quella sera gli dissi: “Santo Padre, che grande giornata oggi!”, lui mi rispose: “Sì, ma che grande umiliazione”. “Perché?”. “Vedermi sulla poltrona nella Cappella Sistina e farmi baciare i piedi anche dai cardinali più anziani di me…questo non lo voglio!”. Io, prudente, gli consigliai di lasciare per un po’ le cose com’erano ma lui ripeté: “Non lo voglio!” e ha abolito subito quel gesto. Sarà stato il papa “buono” ma quando diceva “no”, era “no”. Un po’ come ha fatto papa Francesco con la croce e la stola di ermellino da indossare.

Dopo 50 anni dalla Pacem in terris siamo un po’ “più buoni”?

Capovilla: Purtroppo siamo ancora fieramente armati e l’industria bellica va avanti ma i cristiani dovrebbero poter sognare che la pace non è un’utopia e che ci può essere l’incarnazione della pace nella grande famiglia umana. Dopo la I guerra mondiale c’è stato il patto Kellog-Briand, poco noto ma al quale aderì anche l’Italia, sull’eliminabilità della guerra. La tesi su cui si basava era: se a un istituto giuridico vengono a mancare i motivi per esistere, può morire? Oggi la schiavitù non esiste più legalmente e così la servitù della gleba o il duello. Si può pensare che la guerra non debba per forza esserci perché c’è sempre stata? Occorre educarsi a questo. Quando Giovanni XXIII fu inviato a Parigi come nunzio apostolico nel 1944, ad attenderlo ad Orly c’era prima di tutti l’ambasciatore turco. Eppure per tutto il tempo in cui era stato in Turchia come amministratore apostolico aveva dovuto rinnovare il visto ogni sei mesi perché non era riconosciuto come rappresentante del papa. Non solo, ma appena eletto papa, la Turchia laica chiese immediatamente di instaurare relazioni diplomatiche con la Santa Sede. Sono stati i buoni rapporti di Roncalli con tutti e in tutti i Paesi in cui è stato inviato a favorire questo. A un giornalista disse: “per educazione e per vocazione, dove metto i piedi metto anche il mio cuore”. E questo ce lo insegna il Vangelo.

Il “papa di transizione” stupisce la Curia per prima e tutto il mondo con l’annuncio dell’indizione di un concilio ecumenico. Perché lo ritiene urgente per la vita della Chiesa?

Capovilla: Papa Giovanni era consapevole – e questo è il senso della collegialità che Francesco ha reso visibile con l’istituzione della commissione dei nove cardinali – che un uomo da solo non può bastare per capire la complessità del tempo e delle culture. Aveva bravi collaboratori che stimava ma, diceva “non bastiamo a questa grande impresa”. Il Concilio nasce per questo, per comprendere insieme come la Chiesa deve rispondere alle attese del suo tempo. “Non è un progetto umano – diceva Roncalli – ma è Dio che ci guiderà”. Era consapevole che probabilmente non l’avrebbe portato a termine: “Io lo inizio – affermava – è già un grande onore che Dio mi ha dato questa ispirazione. Rispondere di sì a un’ispirazione, mettersi in strada è già molto”.

A 50 anni dal Concilio c’è qualcosa nella sua attuazione che dispiacerebbe a Giovanni XXIII?

Capovilla: Lui ha detto “camminiamo insieme” e “quando saremo cristificati, tutto si risolverà più facilmente”. Come? Alcuni esempi ci sono. Da giovane prete mai avrei potuto immaginare la visita del patriarca ecumenico Bartolomeo, eppure nei giorni scorsi c’è stata. Sento sempre più vero ciò che disse lo scrittore Francois Mauriac che era in piazza S. Pietro la sera dell’11 ottobre. Quando sentì le parole di Giovanni XXIII “la mia persona conta niente, è un fratello divenuto padre per volontà di nostro Signore, ma fraternità e paternità è tutt’uno, è grazia di Dio, tutto, tutto”, scrisse “mi è sembrato di vederlo srotolare e venire in mezzo a noi e ho capito una cosa che con quel gesto e con quelle parole, lui nel muro spesso fitto della separazione ha aperto non una breccia ma una fessura. Attraverso la fessura è passato lo Spirito e adesso so che le parole di Gesù ‘una sola famiglia, un solo ovile, un solo pastore si farà’”. Magari fra millenni, non dopodomani, chi siamo noi? Mille anni davanti a Dio è “il giorno di ieri che è passato”. Tantum aurora est, disse Giovanni XXIII nel discorso di apertura del Concilio: “E’ solo l’aurora”. Siamo agli inizi.

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