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Giovanni XXIII e papa Francesco: le analogie secondo Capovilla

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Chiara Santomiero - pubblicato il 30/05/13

Mons. Loris Capovilla, ex segretario di papa Roncalli, afferma che la scelta per i poveri non è demagogica e racconta la sua telefonata con Bergoglio

Ogni anno, nel corso di tutto il suo pontificato, Paolo VI gli ha scritto personalmente in occasione del Natale, di Pasqua e del 3 giugno, il giorno della morte di papa Giovanni XXIII, avvenuta nel 1963 poco dopo aver impresso la spinta iniziale a quell'evento epocale per la storia della Chiesa che è stato il Concilio Vaticano II. Monsignor Loris Capovilla, arcivescovo emerito di Chieti-Vasto e segretario di Roncalli dal 1953 quando era ancora patriarca di Venezia, nella casa di Camaitino a Sotto il Monte (Bg) è la memoria viva del pensiero e della voce di Giovanni XXIII. Il giorno dopo Pasqua, lunedì dell’Angelo gli ha personalmente telefonato papa Francesco, come racconta in questa intervista, divisa in due parti, nella quale con molta cordialità ha accettato di condividere anche con Aleteia la memoria di Angelo Roncalli.

Molti segnalano le analogie tra papa Giovanni e papa Francesco.

Capovilla:  Al termine della mia vita tocco con mano che alcune intuizioni di papa Giovanni vengono oggi messe sul tappeto da papa Francesco. Nel discorso agli ambasciatori che hanno presentato le credenziali qualche giorno fa, lui ha detto che la Chiesa deve preoccuparsi in particolar modo degli ultimi. Ha ripetuto la stessa frase di papa Giovanni nel radiomessaggio un mese prima dell'apertura del Concilio, l'11 settembre: “La Chiesa è di tutti e nessuno è escluso, ma è particolarmente la Chiesa dei poveri”. Qualcuno ha detto che questa è demagogia ma dov'è la demagogia se tuo fratello muore di fame? E' un grande discorso che quelli che si vogliono chiamare cristiani devono vivificare dentro di loro: non accontentarsi solo di battere le mani al papa.

I due pontefici sembrano simili anche negli atteggiamenti…

Capovilla:  Anche Francesco avvicinando le persone non dà l'impressione di chiedersi se sia cattolico o se vada a Messa tutte le domeniche, ma per prima cosa vede in lui una creatura di Dio, un uomo, una persona che ha dei diritti inalienabili che sono il diritto all’ascolto e al rispetto, in ogni caso al buon rapporto, al tentativo dell’amicizia. Mi hanno colpito le immagini del papa nel carcere minorile di Casal del Marmo il Giovedì santo: un vecchio prete inginocchiato a lavare i piedi di quei ragazzi, non spruzzando un po' d'acqua, ma lavandoli davvero, baciandoli e guardando ogni ragazzo in volto. Uno di loro gli ha chiesto: “cosa sei venuto a fare?”. “Sono venuto perché mi ha mandato l'amore – ha risposto Francesco -, perché mi devo occupare anche di te”. Ma non è questo che aspetta il mondo? Non è questo ciò in cui confidiamo?

E' vero che papa Francesco le ha telefonato?

Capovilla:  Pensavo fosse uno scherzo perché era il primo d'aprile, lo scorso lunedì dell'Angelo. Verso le 19.30 squilla il telefono, io rispondo e dall'altra parte dicono: “Mons. Capovilla, sono papa Francesco”. Aveva fatto lui il numero, senza passare dal centralino, perché mons. Comastri gli aveva dato un mio depliant per l'Anno della fede nel quale è scritto: “Con Papa Francesco, celebriamo il cinquantesimo di Pacem in terris (11 aprile 2013) e del transito di Giovanni XXIII (3 giugno 2013)”. “Lei mi invita a questo convito di memorie – mi ha detto Francesco – e io la ringrazio”. “Visto che siamo in conversazione – ha aggiunto – la prego di un favore: preghi papa Giovanni perché io diventi più buono”. Semplice come la preghiera di un bambino.

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