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Etica e finanza: la crisi economica dal volto disumano

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Lucandrea Massaro - pubblicato il 17/05/13

Nei suoi ultimi interventi papa Francesco ha parlato di crisi antropologica, “feticismo del denaro” e della mancanza di solidarietà e ricerca del bene comune


Proprio questo giovedì il papa in due occasioni ha voluto affrontare di petto, senza anatemi ma con fermezza, il tema della crisi economica mondiale. Crisi che nell'analisi del pontefice è innanzitutto una crisi etica, laddove al posto di Dio è stato posto il denaro. In due occasioni ufficiali papa Francesco ha ribadito questo nesso: “ la crisi finanziaria che stiamo attraversando ci fa dimenticare la sua prima origine, situata in una profonda crisi antropologica. Nella negazione del primato dell’uomo! Abbiamo creato nuovi idoli. L’adorazione dell’antico vitello d’oro (cfr Es 32,15-34) ha trovato una nuova e spietata immagine nel feticismo del denaro e nella dittatura dell’economia senza volto né scopo realmente umano”. Così agli ambasciatori di alcuni Paesi che venivano ricevuti presso la Santa Sede.

Il Papa ha quindi proseguito: “Abbiamo incominciato questa cultura dello scarto. Questa deriva si riscontra a livello individuale e sociale; e viene favorita! In un tale contesto, la solidarietà, che è il tesoro dei poveri, è spesso considerata controproducente, contraria alla razionalità finanziaria ed economica. Mentre il reddito di una minoranza cresce in maniera esponenziale, quello della maggioranza si indebolisce. Questo squilibrio deriva da ideologie che promuovono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria, negando così il diritto di controllo agli Stati pur incaricati di provvedere al bene comune”. Il problema per papa Bergoglio è che “l’etica conduce a Dio, il quale si pone al di fuori delle categorie del mercato”.

Ma il Santo Padre ha poi proseguito questo suo ragionamento sulla povertàe sulla carità come grammatica della Chiesa, segno che questa tematica è centrale nel suo ministero, grazie allo spunto offerto dall'udienza con il board esecutivo della Caritas Internationalis.  “La Caritas – dice Francesco – è la carezza della Chiesa al suo popolo; la carezza della Madre Chiesa ai suoi figli; la tenerezza, la vicinanza. La ricerca della verità e lo studio della verità cattolica sono altre dimensioni importanti della Chiesa, se la facciano i teologi… Poi si trasforma in catechesi e in esegesi. La Caritas è l’amore nella Madre Chiesa, che si avvicina, accarezza, ama”. Papa Francesco rimprovera alla spiritualità e alla teologia moderna l'assenza di questa “tenerezza” che è invece la cifra di una Chiesa che sia davvero materna. “E questa caratteristica della tenerezza è per me il nucleo al quale deve riferirsi la spiritualità della Caritas: recuperare per la Chiesa la tenerezza”.

La questione è coniugare queste sollecitudini, che sono pastorali, morali con una proposta da attuare nel mondo, per l'uomo. Come costruire una idea di economia che sia funzionale, efficiente, ma che non sacrifichi a questa efficienza l'uomo? La Dottrina sociale della Chiesa punta ad unire – a fare da ponte – tra il Mercato e lo Stato o meglio ancora tra il mercato e la società, perché il tema è – come ha spiegato ad esempio l'economista Stefano Zamagli in una intervista ad Avvenire – quello di superare l'idea che i due campi d'azione prevedano “codici differenti di azione”.

Secondo Zamagli il problema è che “Oggi si ritiene ancora che l’impresa possa operare nel mercato come meglio crede, o non rispettare in pieno la dignità dei lavoratori, e poi magari fare della filantropia oppure concedere in cambio il nido per i figli dei dipendenti. Ecco, non dovrebbe funzionare così. Un altro aspetto riguarda la società civile organizzata – cooperative sociali, associazioni di promozione sociale, fondazioni – che non viene confinata al ruolo di soggetto incaricato di ridistribuire il sovrappiù, come in altri sistemi economici, ma è valorizzata come soggetto economico vero e proprio, messa al lavoro”.

Al giorno d'oggi, ha continuato Zamagni, il capitalismo non riesce a occupare più dell’80% della forza lavoro. Il problema – dunque – “è che cosa fare con l’altro 20%. Li abbandoniamo condannandoli alla precarietà eterna, oppure concediamo sussidi che in ogni caso prima o poi finiscono? La risposta degli economisti civili è diversa e porta a considerare forme di impresa, come ad esempio le cooperative sociali, alle quali affidare il compito di garantire la piena occupazione del sistema, orientandole sull’offerta di beni comuni, beni pubblici e beni relazionali” (Avvenire, 17 maggio).

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