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Il caso Angelina Jolie: la tragedia del cancro colpisce soprattutto i familiari

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ARTEM KOROTAYEV

Silvia Costantini - pubblicato il 16/05/13

La psicoterapeuta Barbara Barcaccia analizza l'impatto che la patologia neoplastica può avere e spiega come trovare le risorse interiori per uscirne

Le recenti dichiarazioni di Angelina Jolie hanno rilanciato il tema del dramma di chi viene colpito da un difetto genetico, con gravi conseguenze sulla propria salute. Dalle pagine del New York Times, la celebre attrice statunitense ha infatti annunciato di aver subito “una doppia mastectomia preventiva”, per paura di ammalarsi di cancro al seno.  

La decisione, secondo quanto dichiarato dalla Jolie, sarebbe stata motivata dal fatto di essere portatrice di un gene che l'avrebbe predisposta alla malattia oltre che dalla morte prematura della madre per un cancro al seno.

Per riflettere a partire da questa vicenda, in occasione anche della Giornata nazionale del malato oncologico, Aleteia ha intervistato Barbara Barcaccia, psicoterapeuta, didatta dell'Associazione di Psicologia Cognitiva.

Quali disagi emotivi e condizionamenti futuri lasciano questi tipi di drammi nella vita dei familiari?

Barbara Barcaccia: La letteratura scientifica ci conferma che la diagnosi di una patologia organica grave può avere forti ripercussioni non solo nei pazienti ma anche nei familiari, o nelle altre persone che sono attorno al paziente. Anzi, un dato interessante è che nei periodi in cui il paziente oncologico è sottoposto ai trattamenti – chemioterapia o radioterapia – lo stress di tipo psicologico, quindi con sintomatologia ansiosa e depressiva, è addirittura superiore nel familiare cosiddetto caregiver, cioè che si prende cura, piuttosto che nel paziente stesso. Perché ci sono degli equilibri che vengono sconvolti. Pensi addirittura ad una mamma con figli adolescenti.

Se da un lato è consigliabile e saggio effettuare controlli per la propria salute, d'altro canto la ricerca ossessionata del controllo sul proprio destino biologico, non porta  a una visione troppo materialistica della vita?

Barbara Barcaccia: La dimensione dell'incertezza e del rischio è una categoria dell'esistenza. Naturalmente la tensione ossessiva al controllo per impedire che eventi di tipo negativo possano accadere è uno sforzo inutile e fa perdere di vista degli aspetti importanti della vita. Perché nella ricerca spasmodica della certezza assoluta si finisce per sviluppare un disturbo ipocondriaco o un'ansia patologica generalizzata su alcune aree dell'esistenza. Tutte le energie psicologiche, mentali ed emotive vengono focalizzate nella ricerca della certezza assoluta. E' dimostrato, infatti, dal punto di vista scientifico che l'ansia di controllo è una illusione della mente. Quindi se è vero che per alcuni tipi di tumori femminili ci sono alte probabilità di successo se individuati in una fase precoce, è anche vero che alcune patologie organiche rimangono comunque incurabili al di là di una diagnosi tempestiva. L'accettazione di eventi negativi dell'esistenza è qualcosa con cui tutti noi facciamo fatica a fare i conti ma occorre trovare un giusto equilibrio nel desiderio di curare, prevenire, preservare la propria salute, senza il quale il controllo può divenire l'unico scopo della propria vita.

Il dolore fa parte della vita. Di fronte a una notizia devastante come un cancro, come trovare l’equilibrio per accettare la realtà e trovare le risorse per fronteggiare la malattia?  

Barbara Barcaccia: Io proverei a pensare alla malattia non come a un dramma ma come a un fatto che può avere molte interpretazioni diverse. Il primo aspetto è che il dolore va accettato come un'altra categoria dell'esistenza. Al giorno d'oggi possiamo controllare farmacologicamente la maggior parte del dolore collegato alla patologia neoplastica, ma c'è un residuo che sfugge agli antidolorifici.

Per quanto riguarda l'impatto emotivo, inizialmente si reagisce con un shock o una negazione. Poi c'è la reazione classica di rabbia nei confronti del destino, della vita, di Dio, “perché proprio a me?”. Poi reazioni di tristezza molto profonda, di depressione. Occorre, quindi, avere un po' di pazienza con se stessi. Ansia, tristezza e rabbia sono reazioni normali. C'è un processo naturale di elaborazione di questo tipo di situazioni di sofferenza che di solito porta la persona poco per volta ad adattarsi e ad accettare la propria situazione, trovando nuovi scopi per cui valga la pena vivere. Questo processo talvolta non si riesce a compiere da soli. Ecco quindi che diventa necessario il supporto psicologico, affinché la persona non rimanga bloccata in queste reazioni emotive troppo a lungo e troppo intensamente. Oggi come oggi la acceptance and commitment therapy, una psicoterapia cognitivo-comportamentale basata sull'accettazione e l'impegno, risulta essere la più efficace e aggiornata nel gestire al meglio non solo il dolore fisico ma anche tutte le risposte emotive alla malattia che sono in qualche modo ineludibili. Un'altra indicazione è quella di entrare a far parte di gruppi di auto-aiuto formati da persone che soffrono della stessa patologia.

La dimensione spirituale può aiutare?

Barbara Barcaccia: Alcune ricerche dimostrano che le persone dotate di risorse di tipo spirituale riescono ad adattarsi più facilmente e anche a trovare un senso  in ciò che è accaduto all'interno della loro esistenza. Per questo può essere d'aiuto anche riappropriarsi dell'aspetto religioso, che si era magari abbandonato nel corso della vita. E' importante non isolarsi e riuscire a comunicare agli altri, ai familiari, agli amici ciò di cui si ha bisogno, magari manifestando semplicemente il desiderio di essere ascoltati senza dover trovare a tutti i costi una soluzione.

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