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Libertà religiosa in Europa: la vocazione speciale della riconciliazione

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©MASSIMILIANO MIGLIORATO/CPP

Chiara Santomiero - pubblicato il 13/05/13

Intervista al cardinale Péter Erdő, presidente del Ccee, che la scorsa settimana ha incontrato papa Francesco

Un resoconto delle attività svolte e un calendario nutrito di impegni futuri in cui spicca il seminario in collaborazione con il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli che si svolgerà a Istanbul il 17 e 18 maggio prossimi sul tema della libertà religiosa a 1700 anni dall’Editto di Milano di Costantino: sono stati questi gli argomenti del primo incontro della presidenza del Consiglio delle Conferenze episcopali europee (Ccee) con papa Francesco.

Hanno incontrato il papa il presidente del Ccee, il cardinale Péter Erdő, arcivescovo di Esztergom-Budapest, e i vicepresidenti, il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e mons. Józef Michalik, arcivescovo di Przemyśl. Durante la conferenza stampa che ha seguito l’incontro è stato affrontato il tema della libertà religiosa in Europa e nel mondo.

La presidenza del Ccee ha sottolineato l’appello dei vescovi della Bosnia Erzegovina affinchè venga assicurato il diritto dei cattolici di tornare nella loro terra di origine a vent’anni dalla fine del conflitto nella ex Yugoslavia e ha espresso tra l’altro forte preoccupazione per la sorte dei due metropoliti ortodossi rapiti in Siria qualche settimana fa.  

Al termine della conferenza stampa il cardinale Péter Erdő ha approfondito con Aleteia alcuni degli aspetti affrontati.

C’è un compito specifico di riconciliazione tra i Paesi che la Chiesa europea sta portando avanti?

Card. Péter Erdő: E’ una vocazione speciale della Chiesa cattolica che, in quanto universale, non è una chiesa nazionale. Alla luce della nostra fede possiamo apprezzare l’esistenza di diverse nazioni, diverse lingue e culture perché sono espressione dell’esperienza storica di varie comunità e contribuiscono al progresso dell’umanità intera. Se apprezziamo la varietà delle piante o degli animali di diverse specie in quanto manifestano la ricchezza della Creazione, tanto più la varietà delle lingue e delle nazioni umane sono veramente preziose. Se un uomo apprezza la propria cultura come dono di Dio, deve riconoscere anche il valore dell’altro, rispettare l’altro. C’è quindi un significato teologico alla base del nostro sforzo di riconciliazione. Siamo convinti, inoltre, che questo sia anche uno dei più importanti contributi che la Chiesa può dare all’Europa, al rafforzamento della coscienza europea che oggi è ancora scarsa nei suoi cittadini. Una coscienza che disprezza i valori culturali che ci uniscono e afferma che tutto questo è passato, una coscienza troppo globalizzata, non può diventare nemmeno di aiuto per l’Europa. L’Europa ha la specificità di essere ricca di diverse nazioni, diverse culture e tutte queste si sono sviluppate anche in base al cristianesimo e quindi abbiamo una vocazione speciale. Le nazioni sono preziose ma non tali da giustificare un atteggiamento nazionalista, un atteggiamento che definisce la propria identità contro gli altri e limita la possibilità della coesistenza. In questa prospettiva la serie degli atti di riconciliazione iniziata decenni fa tra polacchi e tedeschi, proseguita poi tra la Chiesa polacca e la Chiesa ortodossa russa o quella greco-cattolica in Ucraina, va continuata ed estesa. C’è molto da fare, per esempio, nei Balcani: abbiamo avuto un’assemblea generale molto bella a Tirana e una sessione comune con la Conferenza delle Chiese Europee (Kek) a Belgrado. Siamo stati, inoltre, già diverse volte a Sofia mentre Istanbul è quasi uno dei nostri punti di riferimento. Occorre continuare questo dialogo anche con le altre confessioni cristiane.

La prossima assemblea plenaria del Ccee di ottobre a Bratislava sarà dedicata a “Dio e lo Stato. Tra laicità e laicismo”: quale rapporto deve esserci tra la religione e lo Stato?

Card. Péter Erdő: Nelle antiche opere legislative c’è sempre un capitolo introduttivo in cui il legislatore si colloca nell’insieme del cosmo. Nel codice di Hammurabi, per esempio, nell’introduzione c’è scritto che il legislatore discende da tale divinità e così giustifica la sua opera. Oppure nel diritto romano il codice di Giustiniano comincia con la professione di fede. Anche le leggi di S. Stefano in Ungheria cominciano dall’espressione di fede. Successivamente le Costituzioni nazionali non iniziano più con le professioni di fede, però fanno riferimento a valori generali. Non basta soltanto la volontà di un certo numero di persone che può fondare uno Stato ma tutto ciò deve fare riferimento a un insieme di valori più grandi.

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