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Disabilità e sessualità: un tabù o una occasione per ripensare l’affettività?

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Lucandrea Massaro - pubblicato il 10/05/13

Intervista alla prof.ssa Claudia Giorgini del Pontificio Ateneo Salesiano

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Ci sono tematiche che non sono semplici, ma che vanno affrontate con serenità e senza preconcetti, una di queste è certamente quella della sessualità vissuta dalle persone con disabilità. Con quale approccio cristiano si vuole affrontare tutto questo? Noi siamo partiti da una considerazione fatta da Giovanni Paolo II nel gennaio del 2004. In quell’occasione il papa polacco – vivendo personalmente la sofferenza di un corpo che non risponde più ai comandi della mente – ricordava che: “Si tratta di un aspetto spesso rimosso o affrontato in modo superficiale e riduttivo o addirittura ideologico. La dimensione sessuale è, invece, una delle dimensioni costitutive della persona la quale, in quanto creata ad immagine di Dio Amore, è originariamente chiamata ad attuarsi nell’incontro e nella comunione. Il presupposto per l’educazione affettivo-sessuale della persona handicappata sta nella persuasione che essa abbia un bisogno di affetto per lo meno pari a quello di chiunque altro”.

Per affrontare in modo corretto questo argomento abbiamo chiesto aiuto alla prof.ssa Claudia Giorgini, docente di “Metodologia Catechetica: persone diversamente abili" presso il Pontificio Ateneo Salesiano.

Professoressa Giorgini, come si affronta tutto questo in un contesto etico e medico oggi?

Claudia Giorgini: Oggi, viviamo nel tempo della cultura dell’erotizzazione. Questa è costruita sull’idea che “l’uomo è tale perché fa sesso; il disabile è uomo, il disabile deve fare sesso”; ancora, è interessante nella misura in cui è continuamente stimolante e può essere cercata solo se è sempre nuova (è una tecnica del corpo); è il luogo del piacere individuale e l’altro è lo strumento per raggiungerlo. Si riduce la sessualità a genitalità.

Purtroppo “le logiche…. illogiche” che sottendono a questo modo di pensare sono:

– La logica della negazione (il problema è visto, ma si preferisce negarlo, non esiste)
– La logica della rimozione (meccanismo di difesa per smettere di vedere il problema)
– La logica dello scarto (il problema viene identificato, delimitato, isolato, separato dal resto)

Dovremmo, invece, affermare che la sessualità coincide con un fondamentale modo d’essere del sé: appartiene all’esperienza del proprio corpo, nella relazione ad altri da sé e nelle forme della cultura. I gesti del corpo hanno un senso in quanto sono dentro una relazione affettiva e integrati in una totalità di sentimenti e di emozioni. L’eros è più della sessualità e coinvolge la possibilità di vivere il piacere della vita; dello stare insieme, del mangiare, del bere, del fare qualcosa che provoca emozioni positive e piacevoli.

In alcuni paesi europei (Germania, Paesi Bassi e Svizzera in particolare) ci sono figure professionali di terapisti – opportunamente formati – che prestano servizio presso centri medici e riabilitativi per vittime di incidenti oppure per persone con disabilità congenita che hanno problemi con la loro sfera affettivo-sessuale, cosa ne pensa? Sono parte di una risposta corretta a questa tematica?

Claudia Giorgini: Non esistono ricette preconfezionate su come va gestita la sessualità con le persone con disabilità, tuttavia ritengo che l’esperienza di alcuni Paesi europei come quelli da lei citati, dove esistono associazioni che utilizzano dei professionisti che si prestano per prestazioni sessuali, non sia la risposta adeguata e che si rifa all’idea che la sessualità è puramente un atto di sfogo. Io mi chiedo quali possano essere i benefici psichici, fisici e relazionali acquisiti dalla persona oggetto di queste prestazioni o in misura maggiore i danni che ne derivano (al disabile) dal subire un simile trattamento. Si perde completamente di vista la dimensione umana dell’atto con la supremazia dell’essere animale dell’uomo.

Non c’è naturalmente solo l’aspetto sessuale ma anche una corretta educazione affettiva che va insegnata e diffusa nella Chiesa e nella società, perché la vita delle persone portatrici di handicap sia piena e soddisfacente: quali le iniziative e quali i pregiudizi da sfatare?

Claudia Giorgini: È un’esperienza che coinvolge tutto il corpo, tocca la nostra libertà e le nostre scelte. È un modo di esserci, globale, coinvolge tutto me stesso (corpo, sentimenti, relazioni). Un possibile percorso educativo dovrebbe prevedere queste tappe:

a) dall’eros come bisogno all’eros come esperienza della relazione, della tenerezza e del dono di sé;
b) dall’individualismo (del privato) alla relazione: la famiglia è la prima forma dell’esperienza dell’amore. Acquista il senso di relazione d’amore, di comunione totale.

E’ necessario un apprendimento del controllo delle pulsioni:

– avviare un processo di umanizzazione nel senso di educare al controllo delle pulsioni;
– l’adulto deve diventare la “via alta” del disabile e cioè la capacità di riconoscere gli impulsi, stimolare il freno e la capacità riflessiva;
– dalla relazione con l’adulto nasce la fedeltà, la capacità di relazione.


Maurizio Faggioni afferma che la sessualità, orientata alla relazionalità, si esprime in diversi modi e livelli dipendenti dalla capacità del singolo di instaurare consapevoli relazioni interpersonali. Una relazionalità che si fa prossimità, intimità, luogo della comunicazione non verbale.

Dal lato dei pregiudizi da sfatare bisogna lavorare su tre aspetti che la maggior parte delle persone ritiene “assodati”:

a) primo che le persone disabili sono asessuate;
b) secondo che le persone disabili non sono in grado di avere e di vivere rapporti sessuali: non provano desiderio;
c) e infine, terzo, che le persone disabili sono eccessivamente interessate al sesso e non sono in grado di controllare il loro comportamento sessuale.

Bisogna sfatare questi “miti” e ripartire dal fatto che i disabili sono persone e come tali vanno considerate.

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