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Anonimato e Rete, tra libertà e responsabilità

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Lucandrea Massaro - pubblicato il 10/05/13

Dalle minacce alla Boldrini, alla fuga dei Vip come Mentana da Twitter agli attacchi al papa

Internet resta uno spazio di libertà e di comunicazione molto grande, una vera opportunità per chi voglia condividere messaggi importanti, siano essi politici o filosofici. Ancora di più essa è – sempre di più – percepita come una nuova “agorà” e quindi come tale trattata anche come luogo di “nuova evangelizzazione”.

Non vanno, però, sottovalutate le distorsioni dell’uso corretto degli strumenti digitali da parte di chi si sente libero di pensarsi al di sopra delle regole del rispetto o addirittura del Codice Penale, solo perché protetto dall’anonimato che la Rete garantisce a tutti.Tra le ultime vittime “eccellenti” la presidente della Camera, Laura Boldrini, offesa nella sua persona e addirittura minacciata di morte:  «Mi domando – ha affermato – se sia giusto che una minaccia di morte che avviene in forma diretta o con una scritta sul muro sia considerata in modo diverso dalla stessa minaccia via web». E proprio su questo ha sollecitato una revisione culturale con «l’apertura di una discussione serena e seria».

A stretto giro il commento del ministro per l’Integrazione Cécile Kyenge: «la violenza sulle donne è un tema che non riguarda solo gli italiani o solo gli immigrati; la violenza non ha colore, quello che bisogna cambiare è la cultura sulle donne». Il ministro Josefa Idem attacca invece «centinaia di uomini, vili e senza dignità, che ritengono normale insultare e minacciare una donna per via delle proprie opinioni, anzi probabilmente per il solo fatto che una donna abbia osato esprimere delle idee». Serve, ha promesso, «una risposta ferma e decisa della politica di cui mi farò interprete e portatrice». Un problema, quello della violenza sulle donne che non conosce limiti dentro o fuori la Rete (La Stampa, 5 maggio)

Bersagliato dagli insulti anche il direttore del TG La7, Enrico Mentana, si è sentito costretto a chiudere il proprio account di Twitter affermando: “Resterei se ci fosse almeno un elementare principio d’uguaglianza, l’obbligo di usare la propria vera identità. Strage di ribaldi col nickname”. Un problema, quello dell’anonimato, perché effettivamente solleva dal contraltare della libertà, ovvero la responsabilità (Secolo XIX, 9 maggio).

Anche l’account – che naturalmente bisogna considerare come gestito e non come effettivamente personale – del papa ha subìto lo stesso trattamento di quello del noto giornalista, ed effettivamente anche in quel caso la libertà della Rete ha sopravanzato la responsabilità e la capacità di autoregolarsi (La Nuova Bussola Quotidiana, 9 gennaio). Tuttavia l’opportunità di riempire la Rete con la Parola supera il rischio della derisione o dell’attacco: non è forse lo stesso che Apostoli e Santi hanno subito in ogni epoca e luogo? Sia Benedetto XVI (che ha aperto l’account di Pontifex) sia il suo successore Francesco (che lo ha mantenuto) hanno scelto la strada del “rischio”, del “mettersi in gioco” (Radio Vaticana, 12 novembre 2011)

E’ bene però rendersi conto che l’intreccio di privacy, libertà e responsabilità ai tempi di internet va ripensato completamente.

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