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Roccella: recuperare l’alfabeto della persona e della vita

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Chiara Santomiero - pubblicato il 09/05/13

“La colonizzazione della natura umana”, presentato il Quarto Rapporto sulla Dottrina sociale della Chiesa nel mondo

E’ in atto una “colonizzazione della natura umana” attraverso leggi che in materia di vita, procreazione e famiglia “stanno snaturando le relazioni sociali” e operano per una ricostruzione della società “su basi innaturali”. Ne sono convinti gli estensori del Quarto Rapporto sulla Dottrina sociale della Chiesa nel mondo curato da mons. Giampaolo Crepaldi, arcivescovo-vescovo di Trieste e presidente dell’Osservatorio internazionale Cardinale Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa e Stefano Fontana, direttore dello stesso Osservatorio che invitano a spostare l’attenzione a questo nuovo orizzonte da quelli tradizionali per la Dsc di società, economia e politica. Alla presentazione del Rapporto avvenuta a Roma l’8 maggio è intervenuta l’onorevole Eugenia Roccella che ha confermato ad Aleteia la necessità, per far fronte a questo fenomeno, di una “rialfabetizzazione” della società attuale.

Perché è necessaria una rialfabetizzazione nel mondo di oggi?

Roccella: Si stanno perdendo i concetti che un tempo davamo per scontati e su cui è costruita la comunità umana. L’evidenza originaria, il concetto di persona, i concetti più semplici su cui c’è una saggezza popolare come mamma, papà: il detto “ogni scarrafone è bello a mamma sua” vuol dire in fondo che il figlio non si sceglie, che l’amore si dona, che non viene “meritato” da un bambino, perché il bambino per essere amato non deve essere bello o buono. Tutte queste cose oggi si stanno man mano perdendo perché c’è l’idea che il figlio è un diritto e comincia a esserci anche l’idea che possa essere un oggetto che si compra. Man mano che questi concetti si diffondono nella società – occidentale in particolare, ma non solo – si perde l’alfabeto umano.

Lei ha parlato, a questo proposito di varie espressioni cui ridare senso: per esempio “qualità della vita”.

Roccella: Si tratta di un concetto molto diffuso e molto rischioso. L’aggettivo “di qualità” è più appropriato se accogliamo prima un concetto: una persona ha una sua qualità sempre, comunque e in qualunque condizione. Non sempre si pensa così. Ricordo la lettera di PierGiorgio Welby a Napolitano in cui scriveva: “la mia vita non è più quella di un tempo, non ha più qualità, non posso più sentire il vento tra i capelli o fare una passeggiata alla sera”. Certo è vero, ma questo non significa che la tua vita, la tua persona, non ha più qualità. Qualità umana. Piano piano è questo il concetto che si vuol far passare: una vita che non sia al top, in assoluto benessere, in assoluta autonomia, non è più una vita degna di essere vissuta.

E il concetto di “autodeterminazione”?

Roccella: Secondo me il concetto di “autodeterminazione” è una grande illusione. Io preferisco parlare di libertà. Noi non nasciamo “autodeterminati” perché nasciamo nel grembo di un’altra persona, totalmente dipendenti da lei per un bel po’ e abbastanza dipendenti abbastanza a lungo perché prima che un figlio sia autonomo impiega parecchi anni. Inoltre siamo dipendenti in mille modi: quando siamo fragili, malati, bisognosi, addolorati. Siamo persone che sono in relazione con altre persone e possono essere anche “affidate” ad altre persone. Una persona “affidata” – per esempio un bambino molto piccolo o un malato – non è per questo è meno persona. Ognuno di noi ha assistito qualcuno: io ho assistito la mia mamma che era prima in coma poi in stato vegetativo e non era meno mia madre, meno persona, meno lei stessa anche quando non mi rispondeva apparentemente. C’è un mistero nella creaturalità e nella qualità di persona che dobbiamo sempre avere presente e rispettare.

Autodeterminazione e dignità del corpo femminile: quali significati assumono in relazione alle pratiche di procreazione assistita?

Roccella: Mi meraviglia che le femministe oggi non insorgano – tranne poche, come l’associazione internazionale di cui faccio parte e che si chiama “Giù le mani dalle nostre ovaie” – contro un mercato del corpo femminile che tra l’altro lo scompone, ne usa dei pezzi per la procreazione assistita e alcune tecniche specifiche di fecondazione in vitro e cerca di dissociare questi “pezzi”. Se una coppia gay, per esempio, vuole un figlio con la procreazione assistita, in genere prende gli ovociti da una donna e l’utero in affitto da un’altra così non c’è una mamma unica ma uno spezzettamento delle componenti della maternità. Tutto questo crea un mercato che è di profondo sfruttamento nei confronti del corpo femminile. A volte di sfruttamento bieco come avviene con giovani donne povere perché quelle che “donano”, in realtà vendono, gli ovociti, sono donne giovanissime, studentesse povere che in America lo fanno per pagarsi gli studi o dei Paesi dell’est Europa che hanno bisogno di soldi. Con episodi gravissimi: qualche mese fa è morta una ragazzina diciassettenne indiana che aveva fatto già tre volte il trattamento ormonale per vendere i propri ovociti. Ci sono situazioni molto pesanti che però le donne del mondo occidentale ricco sembrano ignorare: bisogna esserne consapevoli perché un diritto non può essere a spese di qualcun altro.

Tutto questo ci conduce alla rilevanza della “questione antropologica”…

Roccella: Su questo la Chiesa – da Giovanni Paolo II al cardinale Ruini in Italia a papa Benedetto XVI che ha scritto cose meravigliose sulla questione – ha detto molto. Sintetizzando si può dire che la questione antropologica nasce dalla perdita della consapevolezza di essere creatura e non onnipotente, creatore, perché non lo siamo, tanto è vero che si muore e quindi basterebbe questo a dare l’idea della limitatezza e della finitezza umana. A ciò si aggiungono quelle pagine di teorie anche del gender che affermano che non esiste più il corpo dell’uomo e della donna, c’è ormai un corpo che può essere manipolato attraverso innesti meccanici, animali, tecnologici in senso ampio: quindi il corpo – che è il luogo della persona – è ormai un luogo che si può manipolare in modo radicale. Quando ci si pone in questa prospettiva è chiaro che stiamo parlando proprio radicalmente della modificazione dell’umano. E la questione antropologica è la modificazione dell’umano.

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