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Mons. Luigi Novarese e la “circostanza speciale” della sofferenza

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Chiara Santomiero - pubblicato il 07/05/13

L'apostolo dei malati, fondatore dei Silenziosi operai della Croce e del Centro volontari della Sofferenza, verrà beatificato l’11 maggio prossimo

Se togliamo a chi soffre la possibilità dell’azione spirituale a che serve la loro vita?
 La società non potrà da noi pretendere un lavoro materiale, ma potrà sempre con tutto diritto, aspettarsi l’apporto spirituale, che è una reale attività, tanto necessaria ai nostri giorni”. E’ “tutto qui” il messaggio di mons. Luigi Novarese, fondatore dei Silenziosi operai della Croce e del Centro volontari della Sofferenza, che verrà beatificato l’11 maggio prossimo nella basilica di S. Paolo a Roma.

L’intuizione di mons. Novarese non nasce da una elaborazione teorica ma muove dalla sua personale esperienza di dolore. Nato a Casale Monferrato (Al), il 29 luglio 1914, vive dai 9 ai 17 anni una esperienza di malattia che gli fa conoscere nella propria carne limiti e risorse di questa condizione. “L’isolamento della tua camera, testimone muta di tanti sospiri e magari lacrime amare e cocenti – scrive nel settembre del 1973 su L’Ancora, la rivista di collegamento dei Volontari della sofferenza -, è soltanto un simbolo della distanza che c’è tra te e la tua vita di ieri: il vortice degli affari, dell’arrivismo; il vortice, forse, delle passioni; il vortice della politica.
Tu, ormai sei solo, inchiodato in un angolo dalla sofferenza, che ti ha afferrato e vedi, in lontananza, lo scorrere della cosiddetta vita, a cui tu pure sei appartenuto, ed ancora appartieni, e ti sembra di essere escluso”.

Tuttavia c’è un altro modo per leggere l’esperienza della sofferenza: “Se consideri però in profondità, la tua sofferenza – scrive Novarese nello stesso testo – può anche non essere un isolamento forzato, ma una circostanza speciale della tua esistenza, che ti ha distaccato dalle apparenze ed ha posto i tuoi piedi sulle realtà, che uniche, devono interessare gli uomini di buona volontà, sia che godano del dono della salute o meno”.


Infatti: “Se il dolore non ti avesse afferrato e non ti avesse costretto a considerare il mondo dello spirito che si dischiude dinanzi a te con una panoramica, che si apre e dilata il tuo cuore alla gioia ed alla speranza in proporzione della tua fede, tu non avresti oggi questa maturità, questa visualità nuova, che sorge proprio sul presupposto della tua nuova situazione, che, da tecnico del mondo del lavoro e della forza della vita, ti rende, giorno per giorno, uno specialista, un produttore, un tecnico delle conquiste dello spirito”.


Guarito prodigiosamente nel 1931 grazie all’intercessione della Vergine Ausiliatrice e di don Bosco, Novarese sceglie come missione di vita quella di aiutare ammalati e disabili a dare un senso alla propria sofferenza, affinchè da fonte di disperazione si trasformi in strumento di bene attraverso la consolazione e la speranza che vengono da Dio.

“Il problema della finalità e del modo in cui va utilizzata la sofferenza – scrive Novarese nell’aprile del 1950 sul primo numero de L’Ancora spiegandone le finalità – è uno dei più urgenti; da questa sofferenza, sopportata con serena docilità ai divini voleri, forse dipende la pace delle nazioni tra di loro, con questa sofferenza noi possiamo salvare tante anime”. Allo stesso modo in cui “tutti siamo chiamati a portare il nostro contributo alla ricostruzione della società (n.d.r. era da poco terminata la seconda Guerra mondiale e si avviava la ricostruzione), come, del resto, tutti hanno il dovere di lavorare” così “il nostro lavoro è soffrire”. 

Per Novarese “bisogna dunque sopportare il dolore con intelligenza cristiana, altrimenti soffriremo inutilmente ossia, non compiremo tutto il nostro dovere da buoni operai della società, in altre parole, saremmo dei disertori del posto che il Signore ci ha assegnato”.

Nasce così nel 1947 il Cvs, Centro volontari della sofferenza, un movimento articolato in associazioni diocesane (riunite in una Confederazione internazionale guidata dai Silenziosi Operai della Croce) nel quale la persona sofferente si impegna a vivere il dolore nella sequela a Cristo, diventando soggetto attivo di apostolato ed evangelizzatore verso gli altri sofferenti.

“Di fronte all’isolamento sociale e alla preoccupazione dell’avvenire – scrive nel numero di dicembre de L’Ancora – c’è chi comprende e si adatta, e c’è anche chi, esagerando la propria posizione, trova un senso di ribellione contro Dio e contro gli uomini.
Esiste infine l’ammalato che, comprendendo nella sua buona formazione religiosa, che la malattia in piano spirituale, può essere una professione come quella per esempio del medico che lo cura, trova allora normale la serena accettazione, pensando che egli infine non è né inutile né di peso alla società”.

Mons. Novarese muore a Rocca Priora (Roma) il 20 luglio 1984. Per quindici anni ha diretto anche l’Ufficio della Conferenza Episcopale Italiana per la pastorale della salute, seguendo in particolare la formulazione e l’applicazione della normativa per l’assistenza religiosa ospedaliera. Il processo diocesano presso la Curia di Frascati si è concluso il 17 dicembre del 2003.
Il 27 marzo 2010, Papa Benedetto XVI ne ha proclamato le virtù eroiche e, il 19 dicembre 2011, ha firmato il Decreto in cui si riconosce il miracolo ottenuto per intercessione del Venerabile Luigi Novarese, aprendo così le porte alla beatificazione del sacerdote, definito da Papa Giovanni Paolo II “Apostolo dei malati”.

Il sacerdozio e il riconoscimento del valore alla sofferenza vissuta cristianamente: questi i due poli della testimonianza di mons. Novarese. “Abbiamo bisogno degli ammalati come abbiamo bisogno dell’aria che respiriamo – ha scritto ancora su L’Ancora nel novembre del 1965 -; abbiamo bisogno di dolore santificato dalla grazia come abbiamo bisogno dei sacerdoti; gli ammalati sono coloro che potenziano il capitale spirituale dei Ministri di Dio affinché siano essi maggiormente efficaci nella loro pastorale attività”.

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