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Giulio Andreotti, un pezzo di storia d’Italia, una vita per la politica

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FILIPPO MONTEFORTE

Aleteia - pubblicato il 06/05/13

Per alcuni “Belzebù” per altri “genio della politica”. Il segreto dello statista della DC? Mediazione e adeguamento

Quella di Giulio Andreotti è stata una lunga vita che ha caratterizzato decenni di politica italiana. Il senatore a vita si è spento il 6 maggio a Roma a 94 anni. Otto volte ministro della Difesa, sette volte presidente del Consiglio, cinque ministro degli Esteri, tre ministro delle Partecipazioni Statali, aveva ricoperto incarichi anche alle Finanze, al Bilancio, al Tesoro.

Nella sua carriera è stato definito in mille modi, “da Belzebù a genio della politica”, “dove tuttavia per politica, più che la gestione della cosa pubblica, si intendeva il gusto dell’intrigo, l’uso dei segreti, qualcosa insomma di inquietante e negativo” (Famiglia Cristiana, 6 maggio).

Andreotti era “essenzialmente un uomo di governo, e solo marginalmente un uomo di partito”. “Era affidabile per competenza, equilibrio, conoscenza degli uomini e delle situazioni, anche abilità manovriera, indispensabile questa via via che si degradavano i rapporti fra i partiti”. “Sempre presente, sempre corretto, mai un accenno a complotti esterni, mai una parola di troppo. Non rassegnazione ma forza interiore: 'Sennò – disse a un amico – che cosa significa essere cristiani?'”.

Bipartisan il cordoglio per la morte del senatore a vita, definito dal presidente del Gruppo Misto ed esponente di Centro Democratico Pino Pisicchioun pezzo della storia democratica del Paese, quando la politica si coniugava con la cultura, il consenso, il buon senso. E con una raffinata ironia”. Per il parlamentare del Pdl Gianfranco Rotondi, era “l'uomo politico italiano più conosciuto al mondo”. A suo avviso, la storia e la rivalutazione della sua opere sono “solo agli inizi” (Avvenire, 6 maggio).

“È la Democrazia Cristiana, pur non essendo stato mai stato segretario della Democrazia Cristiana”, ha affermato il leader Udc Pier Ferdinando Casini. Per Mario Baccini, presidente dei Cristiano popolari del Pdl, “con lui è nata la Repubblica italiana e ne è stato protagonista negli anni fino ad oggi”.

Ricorda Andreotti, grande tifoso della Roma, anche il mondo dello sport. Il Coni ha proclamato un minuto di raccoglimento in tutti gli eventi sportivi della settimana per commemorarlo, e al Foro Italico le bandiere sono già state portate a mezz'asta.

Il senatore a vita era laureato in Giurisprudenza e si era specializzato in diritto canonico. Giovanissimo si era avviato al giornalismo trovando un ruolo sempre più incisivo nella Federazione degli universitari cattolici italiani (Fuci), di cui era assistente Giovanni Battista Montini, il futuro papa Paolo VI. Collaborò con Alcide De Gasperi alla fondazione della Democrazia cristiana. Esperto degli equilibri di geopolitica, fece della distensione “l'asse portante della politica estera italiana, unitamente all'appoggio convinto alla strategia atlantica”, con “un ruolo incisivo nelle tensioni mediorientali, seguendo la linea della cosiddetta equivicinanza nel conflitto tra israeliani e palestinesi” e sostenendo i Paesi dell'Est nel loro difficile cammino verso la democratizzazione e la difficile opera di Mikhail Gorbaciov in Unione Sovietica, mentre dava il via libera italiano all'installazione dei missili Nato.

Tante le accuse rivoltegli: dall'essere il mandante dell'omicidio del giornalista Mino Pecorelli, ucciso nel 1979, alla collusione con la mafia, ma è stato sempre assolto. “Hanno usato i processi per mettermi fuori gioco politicamente. È stato un momento di politica molto cattiva”, commentava.

Tra i politici italiani degli ultimi settant’anni è stato quello che più di ogni altro ha coltivato i rapporti con la Chiesa. “Strettissimi” i rapporti con Pio XII, nella cui anticamera, prima come dirigente della Fuci e poi come giovanissimo sottosegretario del Governo De Gasperi, trascorse tante ore da scrivere la tesi di laurea mentre attendeva di essere ricevuto davanti alla porta dello studio papale. “Papa Pacelli lo riceveva sempre per ultimo, facendogli fare lunghe attese, ma per potergli poi dedicare più tempo di quello solitamente stabilito per le udienze” (Vatican Insider, 6 maggio). Dal 1993 fino al luglio scorso Andreotti ha anche diretto la rivista internazionale “30Giorni”, dedicata alla Chiesa nel mondo. “Il Vaticano ha sempre potuto contare su Andreotti, che nel suo approccio ai problemi di politica estera ha sempre tenuto conto della visione 'multilaterale' e attenta ai rapporti con il mondo arabo tipica della diplomazia della Santa Sede”.

Per Paolo Liguori, quello che Andreotti lascia è “l'immagine di un grande politico, anche più che di statista”, “innanzitutto perché è stato un grande politico cristiano, quindi per certi versi meno statista di tanti suoi coetanei. Nel bene e nel male, infatti, le ragioni della persona e degli esseri umani sono sempre venute fuori maggiormente rispetto alla ragion di Stato”. “È sempre stato al centro di mille contestazioni, ma si è sempre adeguato al mondo, e forse l'intuizione più forte è stata proprio questa” (Il Sussidiario, 6 maggio).

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